(di Stefania De Francesco)
Subito ridurre i consumi di energia di famiglie e imprese, nel medio periodo avviare nuovi impianti di energia rinnovabile (fotovoltaico, eolico e geotermico) guardando al 2050 quando è prevista la decarbonizzazione del sistema energetico. Sono i tre step indicati dall'esperto del Cnr e membro dell'Accademia nazionale delle Scienze, Nicola Armarol,i per ridurre e poi azzerare la dipendenza dal gas russo, e più in generale dall'estero, evitare la volatilità dei prezzi della materia prima e via via acquisire l'autonomia energetica abbandonando i combustibili fossili e diminuendo anche l'inquinamento.
Per tagliare 30 miliardi di metri cubi di gas che l'Italia ha importato dalla Russia nel 2021 sui 70 miliardi totali di fabbisogno, Armaroli - conversando con l'ANSA - suggerisce nel breve periodo di "consumare meno energia diminuendo del 10% i consumi innanzitutto negli edifici pubblici e privati e nel settore industriale. Tra le azioni vi sono gesti semplici come l'abbassamento di un grado del riscaldamento e docce di 3-4 anziché di 10 minuti. Questa dieta può portare senza particolari sforzi a un risparmio di 7 miliardi di metri cubi di gas". Nel medio periodo, prosegue Armaroli - che dirige anche la rivista divulgativa 'Sapere' - si deve produrre più energia in Italia con le rinnovabili: "Nell'arco di 2-3 anni, ad esempio con il via libera delle autorizzazioni a giugno prossimo, si possono installare 60 Gigawatt di potenza da rinnovabili consentendo un risparmio dei consumi di gas di 15 miliardi di metri cubi all'anno". Una riduzione guardando alla transizione energetica al 2030 quando l'Italia deve aumentare al 70% la produzione di energia pulita fino al 2050 con l'abbandono di petrolio e gas.
Aumentare l'import di gas da Algeria, Azerbaigian (con il Tap) e via Turchia (Tanap) non protegge da rischi insiti in una "dipendenza", osserva lo scienziato che quindi indica come unico modo per affrancarsi quello di "cambiare sistema". L'Italia, "come l'Europa, ha poco petrolio e gas e il nucleare da noi è stato abbandonato 30 anni fa ed economicamente non è conveniente - ricorda Armaroli - Bisognerebbe ripartire da zero importando tecnologia francese, americana o russa con una sorta di colonialismo energetico, oltre al rischio di lievitazione dei costi, le incertezze sui tempi di fine lavori e la dipendenza dall'uranio, dove il principale produttore mondiale è il Kazakhistan". Peraltro, prosegue lo scienziato, "non ci sono investitori interessati".
Intanto, però, il governo ragiona su qualche altro miliardo di metro cubo di gas (3-4) che si potrebbe recuperare "in casa", arrivando a un totale di 20 miliardi tagliati alla Russia, aumentando la portata dei rigassificatori e costruendone di nuovi "per cui ci vorrebbero non meno di tre anni", spiega Armaroli, compatibilmente con la disponibilità da parte dei Paesi venditori e i tempi di arrivo e "sbarco" del gas naturale liquefatto (Gnl); e c'è anche l'ipotesi di riapertura di centrali elettriche a carbone. Insomma, due opzioni che tuttavia "non risolvono il problema - spiega Armaroli - non solo per le quantità ma anche perché nel caso del carbone dovremmo sempre importarlo da Indonesia, Sudafrica, Australia o di nuovo Russia". Oltre ad alimentare le emissioni di gas serra: "Ogni metro cubo di gas bruciato oltre alla dipendenza da Paesi alimenta tensioni e guerre, inquina e causa il cambiamento climatico", conclude. (ANSA).