Quotidiano Energia - Se non saranno eliminate le protezioni agli investimenti internazionali nei combustibili fossili previste dalla Carta dell’Energia, l’Unione europea e i suoi Stati membri usciranno dal Trattato. E’ l’aut aut cui si troveranno di fronte i firmatari della Carta nella riunione in programma il mese prossimo, che potrebbe essere l’ultima di una infruttuosa serie di tentativi di riforma di uno strumento risalente a 30 anni fa e da molti ritenuto una minaccia alla transizione.
Dopo il “caso Rwe”, che ha invocato la Carta contro il phase-out dell’Olanda, e sotto la pressione di alcuni Governi Ue e dell’Europarlamento, che lo scorso ottobre ha approvato una mozione per chiedere il ritiro dell’Unione qualora non si raggiunga entro breve un accordo sulla modernizzazione in chiave ambientale della Carta, la Commissione ha pubblicato la posizione che sarà portata alla riunione di marzo.
In particolare, Bruxelles chiede lo stop immediato alla protezione degli investimenti nel carbone, nel petrolio e nella generazione elettrica da combustibili fossili, con la sola eccezione delle centrali a gas con emissioni inferiori a 380 gr CO2 per kWh e in grado di funzionare anche con gas low-carbon che continuerebbero a godere delle attuali norme della Carta fino al 2030. Se tali centrali andranno a sostituire un’analoga potenza a carbone, la protezione si estenderà di ulteriori 10 anni fino al 2040.
Sempre fino al 2040 potrà applicarsi la protezione degli investimenti nei gasdotti in grado di trasportare “gas rinnovabili e low-carbon sicuri e sostenibili, incluso l’idrogeno”, nonché di tutti gli investimenti già effettuati prima dell’entrata in vigore della riforma del Trattato.
La proposta di Bruxelles dovrà ora essere approvata all’unanimità dai 53 firmatari della Carta. La Ue avrà dunque bisogno dei voti di Giappone e Kazakhstan, che sinora hanno bloccato i precedenti tentativi europei. Ma anche all’interno dell’Unione le posizioni non sono univoche, con Spagna e Francia che premono per l’abbandono tout court del Trattato e alcuni Stati dell’Est favorevoli invece a una riforma più moderata. “Sosteniamo la proposta della Commissione ma non criteri e scadenze più stringenti che andrebbero a detrimento degli investimenti nelle infrastrutture gas”, ha detto un funzionario slovacco a “Politico”.
L’Austria, per parte sua, vuole che il riferimento all’idrogeno sia esclusivamente a quello “green”, mentre il ministro dell’Energia del Lussemburgo ha definito l’ultima proposta della Commissione “ambiziosa e in linea con l’Accordo di Parigi”.
Il problema, però, è che nel caso in cui la Ue decidesse di uscire dalla Carta le norme continuerebbero ad applicarsi per altri 20 anni, come sa bene l’Italia che ha abbandonato il Trattato nel 2016 ma che ne dovrà rispettare il dettato fino al 2036.