Attivisti Greenpeace in azione alla piattaforma Agostino B, al largo di Marina di Ravenna, per un'azione di sensibilizzazione sul referendum del 17 aprile. Gli attivisti, spiega l'associazione, hanno aperto sulla piattaforma due striscioni: "Stop trivelle" e "17 aprile vota Sì".
Greenpeace annuncia poi di aver presentato in 30 procure della Repubblica un esposto contro le "trivelle fuorilegge", oggetto di un rapporto pubblicato dall'associazione il 3 marzo. Rapporto che per Greenpeace, "ha reso pubblici per la prima volta i piani di monitoraggio di 34 impianti di proprietà di Eni, svelando che in tre casi su quattro questi impianti non operano nel rispetto degli standard di qualità ambientale stabiliti dal Ministero dell'Ambiente". La piattaforma Agostino B, per Greenpeace, "è una delle più inquinanti tra quelle monitorate".
Eni, che giudica la condotta di Greenpeace in violazione delle norme di sicurezza stabilite dalla legge a tutela delle persone e degli impianti, ribadisce l'adozione dei più elevati standard e linee guida internazionali nella gestione delle attività in tutti i contesti in cui opera, primo fra tutti l'ambiente marino".
Relativamente alle "100 'piattaforme mancanti', per le quali secondo Greenpeace non sarebbero stati forniti i piani di monitoraggio, Eni spiega che quelle di propria pertinenza, non emettono scarichi a mare, nè effettuano re-iniezione di acque di produzione in giacimento, pertanto non ci sono piani di monitoraggio prescritti e nessun dato da fornire.
Gli impianti offshore di Eni nel Mare Adriatico sono dedicati alla produzione di gas naturale, la più sostenibile tra le fonti fossili, ed operano da sempre nel pieno rispetto delle leggi e delle prescrizioni vigenti. Rigidi controlli ambientali vengono eseguiti da Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e dalle Capitanerie di Porto, coadiuvante dalle Arpa locali. Eni spiega che, come previsto dalle normative, annualmente fornisce al Ministero dell'Ambiente un rapporto sulle caratteristiche delle acque e delle attività effettuate sulle piattaforme. Le analisi svolte dagli Enti di controllo e i rapporti di Eni confermano che non vi sono criticità per l'ecosistema marino riconducibili alle attività di produzione di idrocarburi. I dati elaborati nello studio di Greenpeace sono stati estrapolati da tali rapporti di monitoraggio presentati da Eni al ministero dell'Ambiente negli ultimi 3 anni e relativi a 34 piattaforme.
Nel merito di quanto riportato nel documento pubblicato da Greenpeace è necessario precisare che i limiti presi in considerazione per le sostanze oggetto di monitoraggio non rappresentano limiti di legge definiti per valutare l'eventuale inquinamento derivante da una specifica attività antropica. Tali valori sono utilizzati da Ispra come riferimento tecnico nelle relazioni di monitoraggio dell'ecosistema marino circostante le piattaforme unicamente per valutarne le eventuali alterazioni, sulla base di un confronto con standard di qualità utilizzati per aree incontaminate.
I limiti presi a riferimento da Greenpeace, ossia gli Standard di Qualità Ambientale definiti nel D.M. 56/2009 e D.M. 260/2010, sono utilizzati per definire una classificazione comune a livello europeo circa lo stato di salute di un ambiente incontaminato in corpi idrici superficiali e riguarda, pertanto, le acque marine costiere all'interno della linea immaginaria distante 1 miglio nautico (circa 1,8 km) dalla linea di costa, mentre tutte le 34 piattaforme, oggetto dell'analisi, sono ubicate ad una distanza dalla costa compresa tra 6 miglia (10,5 km) e 33 miglia (60 km).
Circa quanto riportato da Greenpeace sull'inquinamento da idrocarburi nel Mediterraneo, è utile ricordare che studi effettuati da Università e Istituti scientifici evidenziano che per il 60% tale inquinamento deriva da scarichi civili e industriali e per il 40% dal traffico navale, che riversa in mare circa 150.000 ton/anno di idrocarburi. Insignificante, invece, l'apporto dell'attività petrolifera (minore di 0,1%)".