Sacchetti, stoviglie e anche capsule del caffè. Queste sono le produzioni che fanno parte della filiera dell'industria della bioplastica, e così come viene raccontato dal rapporto annuale di Assobioplastiche (l'Associazione italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili) - messo a punto da Plastic consult - al primo posto nei settori applicativi, sul totale delle 88.500 tonnellate di polimeri lavorati nel 2018, c'è la produzione di bio-shopper monouso per la spesa con il 61%, il 19% invece per i sacchi ultraleggeri, e il restante 20% suddiviso tra sacchi per la raccolta dei rifiuti organici, manufatti per l'agricoltura, la ristorazione, il packaging alimentare e l'igiene personale. I bio-shopper - viene spiegato - hanno superato le 54.000 tonnellate (più 8,4% rispetto al 2017); i sacchetti ultraleggeri sono raddoppiati nei volumi passando da meno di 8.000 tonnellate del 2017 a 16.500; i prodotti per l'agricoltura sono arrivati a poco meno di 2.000 tonnellate, con un incremento superiore al 10% rispetto all'anno precedente. Esplosione per gli articoli monouso, in aumento di poco meno del 90%: da un lato la questione dei cambiamenti climatici dall'altro una rinnovata attenzione verso la sostenibilità ambientale, hanno spinto "la domanda di stoviglie monouso in bioplastica compostabile riciclabili con la raccolta del rifiuto organico". E anche le capsule del caffè hanno registrato una crescita. L'industria delle bioplastiche compostabili - viene messo in evidenza - è "un sistema economico complesso. Strettamente interconnessa con la raccolta del rifiuto organico e con il compostaggio industriale, che rappresenta il naturale fine vita dei manufatti compostabili; è in stretta relazione anche con l'agricoltura, sia per l'utilizzo di fonti rinnovabili e biomasse per la produzione chimica di base e intermedi sia come settore di impiego del compost prodotto dagli impianti, e come mercato per i bioteli per l'agricoltura".
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