Bioplastiche compostabili tra i rifiuti organici? Gli impiantisti le promuovono a pieni voti sostenendo che sono “utilissime per avere un compost di qualità”. È quanto emerge da un'indagine sul fine vita dell’umido svolta da Biorepack - consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile - fra i gestori degli impianti di compostaggio e di digestione anaerobica, da Nord a Sud. Il vero problema per la corretta gestione dei rifiuti organici, è stato spiegato, è "la frazione estranea di materiali non compostabili che in alcuni casi raggiungono il 12% del totale (plastica, vetro, metalli)". E' fondamentale, è l'appello dei gestori degli impianti alla politica, "investire sulla chiarezza delle etichette, nell’informazione ai cittadini e nella repressione contro chi aggira i divieti di vendita delle stoviglie in plastica tradizionale”.
Le telecamere di Biorepack hanno realizzato nelle scorse settimane un vero e proprio “Giro d’Italia” da Nord a Sud: dal Piemonte alla Puglia passando per il Veneto, l’Abruzzo e la Sardegna. Obiettivo: dar voce ai gestori degli impianti di compostaggio e di trattamento anaerobico che quotidianamente ricevono la raccolta differenziata dei rifiuti organici e devono trasformarli in compost, fertilizzante naturale reso ancor più prezioso dall’impennata dei prezzi dei loro omologhi chimici ed estremamente utile per rafforzare la transizione verso la bioeconomia circolare, restituendo al tempo stesso sostanza organica ai terreni agricoli italiani, alle prese con un rischioso processo di desertificazione.
“Nonostante l’Italia sia da anni il top player indiscusso nel settore delle bioplastiche (da solo il nostro Paese rappresenta un terzo dell’intero comparto Ue), c’è ancora troppa disinformazione e impreparazione sul perché è importante effettuare una corretta raccolta differenziata dei rifiuti organici e perché insieme a loro vanno conferiti anche gli imballaggi in bioplastica compostabile, come sacchetti, stoviglie e cialde per le bevande certificate EN13432. E questa scarsa informazione alimenta pericolose fake news” spiega Marco Versari, presidente di Biorepack. "Con questo ciclo di videointerviste abbiamo voluto far parlare direttamente i gestori degli impianti che si occupano del fine vita della Forsu (Frazione Organica Rifiuti Solidi Urbani) e delle bioplastiche e sono quindi i testimoni ideali per far luce sui vari nodi del processo di compostaggio".
I cinque impianti visitati da Biorepack sono responsabili, tutti insieme, della gestione di oltre 800mila tonnellate di frazione organica ogni anno. Unanime è la denuncia sui problemi causati al loro lavoro dalle cosiddette frazioni estranee. “I materiali non compostabili (Mnc) raggiungono percentuali tra l’8 e il 12% dei rifiuti organici conferiti” rivela Flaviano Fracaro, di Iren Ambiente, la multiutility che gestisce la raccolta rifiuti nelle province di Parma, Piacenza, Reggio Emilia, La Spezia e Torino. “La maggior parte è costituita da plastiche tradizionali, nonostante la normativa che le vieti abbia ormai più di 10 anni. Ma anche da vetro e metalli”.
“La vera sfida è riuscire a eliminare completamente queste impurità che danneggiano il processo di compostaggio e la qualità del prodotto finale” aggiunge Fabrizio Pilo, amministratore unico di Verde Vita, che gestisce i rifiuti in 15 Comuni del nord-ovest della Sardegna. Secondo Pilo, per raggiungere l’obiettivo è fondamentale la sinergia tra tutti gli attori della filiera. “La nostra esperienza ha dimostrato che costruire una rigorosa raccolta porta a porta riduce fortemente il tasso dei materiali non compostabili”.
Le bioplastiche compostabili “si comportano come altri materiali di origine vegetale” conferma Mario Mongelli, direttore tecnico della pugliese Progeva. “Le bioplastiche flessibili, come i sacchetti compostabili, sono equiparabili a una mela o a una buccia di arancia, per quanto riguarda i tempi di degradazione. Gli imballaggi rigidi, che comunque rappresentano più o meno l’1% della Forsu trattata, sono paragonabili a un pezzo di legno. Se alla fine di un primo processo di compostaggio non dovessero essere ancora del tutto degradate, vengono separate alla fine del ciclo per essere reimmesse in testa”. Un processo virtuoso sotto tutti i punti di vista: ambientale, agronomico, sociale ed economico. “Il compost realizzato - sottolinea Pilo - può essere commercializzato e distribuito a partire dalle aziende agricole dello stesso territorio, costruendo così una filiera corta dei rifiuti organici che porta vantaggi per tutti”.