Il consumo di beni e servizi nell'Ue porta a conseguenze ambientali e sociali negative all'estero. Lo rivela il 3/o Rapporto sullo Sviluppo Sostenibile in Europa 2021, redatto da Sustainable Development Solutions Network (SDSN), SDSN Europe e Institute for European Environmental Policy (IEEP).
Mentre le emissioni domestiche di CO2 sono diminuite da molti anni nell'Ue, le emissioni di CO2 emesse all'estero per soddisfare il consumo dell'Unione (le cosiddette emissioni di CO2 importate) sono aumentate nel 2018 ad un ritmo più rapido del Pil. Attraverso le importazioni, ad esempio di cemento e acciaio, l'Europa genera emissioni di CO2 in altre parti del mondo, tra cui Africa, Asia-Pacifico e America Latina.
La tolleranza verso standard di lavoro scadenti nelle catene di approvvigionamento internazionali può danneggiare i poveri, in particolare le donne, in molti paesi in via di sviluppo. Ogni anno nel mondo le importazioni di prodotti tessili nell'Ue sono legate a 375 incidenti mortali sul lavoro (e a 21.000 incidenti non mortali).
Secondo il rapporto, "la proposta di un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), di altri meccanismi di adeguamento e di 'clausole specchio', e il nuovo regolamento sulla Due Diligence possono aiutare ad affrontare e a monitorare le rilocalizzazioni delle emissioni di carbonio e gli altri impatti negativi".
Tuttavia, aggiunge il rapporto, "per evitare la trappola 'protezionista', questi meccanismi dovrebbero essere accompagnati da una maggiore cooperazione tecnica e da un maggiore supporto finanziario per accelerare i progressi verso gli Sdg (Sustainable Development Goals, gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030 dell'Onu, n.d.r.) nei paesi produttori".