Lino, fibra d'ananas, cotone, sono i materiali naturali che potrebbero sostituire le microfibre nell'abbigliamento, mettendo fine allo scempio del mare sommerso dalla plastica e rendendo l'industria della moda competitiva e davvero sostenibile, visto che, le principali responsabili di questo grave problema ambientale, sembrano essere proprio le micro particelle dei tessuti derivati dalla plastica, che arrivano in mare con un semplice carico in lavatrice. Con #Stopmicrofibre, Marevivo rivolgere un appello ai tessutai, davanti a una platea di stilisti in erba dell'Accademia di Costume & Moda di Roma, chiedendo loro di trovare soluzioni alternative all'uso dei tessuti sintetici, per salvare il mare dall'invasione della plastica.
"Un carico in lavatrice di capi sintetici - ha detto Raffaella Giugni, responsabile dei rapporti istituzionali di Marevivo - produce milioni di microfibre di dimensioni inferiori ai 5 mm che si riversano in mare dai tubi di scarico dove vengono ingerite dagli organismi marini, entrando così nella catena alimentare. Il 40% delle microfibre non viene trattenuto dagli impianti di trattamento e finisce nell'ambiente. La fondazione Ellen MacArthur nello studio A New textiles economy ha denunciato come gli abiti scarichino ogni anno mezzo milione di tonnellate di microfibre negli oceani. Una quantità pari a oltre 50 miliardi di bottiglie di plastica". Per capire quanto sia urgente affrontare il problema dell'uso delle microfibre nella moda, basti pensare che, come ha ricordato Francesco Regoli, vice direttore del dipartimento di Scienze della Vita e dell'Ambiente, all'Università Politecnica delle Marche, "Il mare è ormai invaso dalle microplastiche". "Negli ultimi 60 anni - ha ricordato Regoli - il mondo è passato dalla produzione di meno di mezzo milione di tonnellate di plastiche, a 12,2 milioni di tonnellate l'anno. Dal 2015 ogni anno finiscono in mare 5 miliardi di micro particelle di plastica. Nel Mediterraneo, che non è un'isola felice, arrivano 1.700.000 particelle di plastica per Km quadrato. Tutti gli organismi marini possono ingerirli. Su 50 specie analizzate, un pesce su 5 contiene microplastiche nell'organismo. Ovviamente gran parte di queste arrivano dalle fibre tessili. Scampi e gamberi che vivono a 400 metri di profondità contengono materiale plastico in media 9 su dieci". Ma al convegno, realizzato con il patrocinio del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministero dello Sviluppo Economico, un filo di speranza arriva anche da ricercatori e imprenditori a caccia di soluzioni. Pierluigi Fusco Girard, ad del Linificio e Canapificio Nazionale - Marzotto Lab, ha parlato del lino, fibra europea sostenibile e polifunzionale (va bene anche per le reti da pesca ora di plastica) prodotta per l'85% in Normandia. Giusy Bettoni, ceo e founder C.L.A.S.S. (Creativity Lifestyle and Sustainable Synergy) ha ricordato quanto sia importante sapere la provenienza dei prodotti e che i bio polimeri esistono dal 15 anni. Giorgio De Montis, di Banor Capital, ha affermato che "il mercato premia le aziende responsabili perché sono quelle con le performance finanziarie migliori". Riccardo Andrea Carletto, ricercatore Cnr-Stiima Biella, ha parlato di nuove fibre sostenibili per l'industria tessile come quella ricavata dall'ananas, di cui la Thailandia è il maggiore produttore con 20mila tonnellate annue secondo dati prospettici. Giovanni Schneider, ad dell'omonimo gruppo, leader nella prima lavorazione e commercializzazione di fibre tessili naturali pregiate, ha parlato dell'etichettatura di capi d'abbigliamento e della necessità di una legge.