Fiat Chrysler Automobiles ha immatricolato in aprile, in Unione Europea più Paesi Efta e Regno Unito, 10.952 vetture, con un calo dell'87,7% rispetto allo stesso mese del 2019. La quota è del 3,7% a fronte del 6,6%. Sono invece quasi 181.500 le auto vendute nei quattro mesi, il 48% in meno dello stesso periodo dell'anno scorso, pari a una quota del 5,4% (era 6,3%).
Intanto mentre non si placa la bufera politica sul prestito da 6,3 miliardi di euro a Fca con le garanzie pubbliche, benedetto dalla Borsa, il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri assicura che lo Stato ha chiesto impegni precisi alla società. "Condizioni aggiuntive e stringenti" sugli investimenti, l'occupazione e il mantenimento della produzione in Italia.
"Abbiamo detto a Fiat che con il prestito ci devono pagare investimenti in Italia", ha spiegato, e "abbiamo detto 'no' a delocalizzazioni. La garanzia dello Stato è legata a queste condizioni".
Il governo avrebbe dunque già risposto a sindacati e forze politiche che chiedono con forza, quasi all'unisono, che il prestito abbia come condizione l'impegno a garantire l'occupazione negli stabilimenti italiani. Anche il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, dedica alla vicenda un lungo post di Facebook. A Piazza Affari il titolo vola in Borsa e chiude la seduta di apertura della settimana con un +8,19% a 7,79 euro.
"Tutti i prestiti alle imprese, come quello richiesto da Fca, devono avere delle "condizionalità precise: che siano finalizzati, che non ci siano delocalizzazioni, che vengano garantiti i livelli occupazionali, che non si chiudano stabilimenti", afferma il segretario generale della Cgll, Maurizio Landini. Per la Cisl la richiesta del prestito è "assolutamente legittima, ma - sottolinea la segretaria generale Annamaria Furlan - occorre che ci sia in primo luogo l'impegno al mantenimento dei livelli occupazionali negli stabilimenti italiani. È necessaria anche la verifica puntuale da parte dello Stato che le risorse siano utilizzate esclusivamente per gli investimenti produttivi nel nostro Paese".
Il ministro Provenzano spiega che "il Governo ha previsto nei vari decreti alcune condizionalità, e precisamente: avere sede legale in Italia, non distribuire i dividendi, impegnarsi a orientare quei finanziamenti a tutelare occupazione e capacità produttiva nel nostro Paese. Fca oggi - osserva - non è (più) un campione industriale italiano ma una multinazionale con investimenti in tutto il mondo, sede legale a Londra e fiscale in Olanda. Nessuno, al di fuori di alcuni alti dirigenti dell'Agenzia delle Entrate e del management internazionale di Fca, conosce con esattezza come sono distribuiti i profitti delle varie filiali e come ripartisce il carico fiscale nei vari paesi in cui opera". Difende la scelta del governo il capo politico del M5S, Vito Crimi: "Assistiamo al surreale dimenarsi da parte di chi era al governo quando Fca aveva deciso di postare la sua sede all'estero.
Se qualcuno ritiene che sia necessario imporre ulteriori condizioni, avanzi una proposta: noi siamo pronti a sostenerla". "Noi difendiamo l'Italia, lo sviluppo, il lavoro. Questo è il filo conduttore di tutte le nostre azioni. Mai come in questa fase è giusto e necessario mettere in campo tutti gli strumenti possibili per favorire gli investimenti e salvaguardare l'occupazione in Italia", concorda il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Non ha dubbi sulla legittimità della richiesta di Fca Matteo Renzi: "Se chiede un prestito alle banche da 6.3 miliardi per investire in Italia e tenere aperte le fabbriche - osserva - questa è una buona notizia. Evocare i 'poteri forti' e gli 'interessi dei padroni' è ridicolo. Mi sarei preoccupato se non lo avesse fatto". "Nessun stupore sul fatto da che parte stia Renzi se con Fca o con chi critica la scelta che l'azienda chieda la garanzia dello Stato per il prestito", commenta il portavoce di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni.
Sulla necessità di uno stretto rapporto tra il prestito ottenuto e il rafforzamento della presenza in Italia insistono anche le forze politiche dell'opposizione. Per Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d'Italia, "visto che Conte fa un dpcm su qualunque cosa, potrebbe fare un bel decreto per dire quelle risorse le prendi se sono vincolate in Italia. Se no niente".
Concorda Mara Carfagna, vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia, "vista la dimensione della richiesta e gli interessi occupazionali in gioco, spetta allo Stato mettere una condizione chiara: un piano di investimenti nel Paese e una strategia di rilancio adeguata al futuro dell'industria auto e all'attività degli stabilimenti italiani".