"Ho vaporizzato le rocce lunari per ricreare la composizione dell'atmosfera da cui si sono formati i pianeti. E, sorprendentemente, vi ho trovato ossigeno libero e potenzialmente utilizzabile. Sono passati quasi 50 anni da allora ma oggi la ricerca sta vivendo una pericolosa situazione di declino e sofferenza". Ha oggi quasi 88 anni il primo scienziato italiano che studiò le pietre lunari. A raccontare all'ANSA la sua impresa, in vista del 50/mo anniversario dello sbarco dell'uomo sulla luna, è Giovanni De Maria, intervenuto al convegno "Chimica Fisica e Universo", organizzato a Roma dall'Ordine interregionale di Chimici e Fisici.
Professore Emerito di Chimica Fisica presso l'Università La Sapienza di Roma, De Maria è originario di Tricarico, un piccolo paesino della Basilicata. Nel 1957, a 26 anni, partì per andare a studiare negli Stati Uniti con una borsa di studio Fullbright. Giovanissimo, fu ricercatore presso il Dipartimento di Fisica dell'Università di Chicago, nel team del famoso fisico Enrico Fermi. Tornato in Italia, portò avanti una serie di ricerche per creare uno spettrometro di massa per alte temperature, in grado di vaporizzare la materia solida e analizzare il vapore così creato. Ed ebbe un'idea: distruggere delle rocce lunari per capire la composizione della nebulosa primordiale, dalla quale si originò il Sole, la Terra e tutto il nostro Sistema solare. "La terra 4 miliardi e mezzo di anni fa venne fuori da un processo di condensazione dei gas. La mia idea era fare il processo inverso. Pensai di utilizzare le rocce lunari perché, diversamente da quelle terrestri, non avendo la luna avuto tracce di vita, erano testimoni più verosimili della situazione primordiale. Anche io, inizialmente ero perplesso, perché per poter effettuare la ricerca avrei dovuto distruggere preziosissimi reperti lunari".
Negli Stati Uniti, però, questa folle idea venne giudicata interessante dal punto di vista scientifico. E De Maria fu il primo studioso italiano incaricato dalla Nasa a svolgere ricerche sui campioni lunari della missione Apollo 11, che aveva toccato il suolo lunare nel luglio del 1969. "Nell'effettuare questa ricerca, venne fuori, come risultato inatteso, che le rocce lunari nascondevano ossigeno e che era possibile estrarlo e renderlo utilizzabile per respirare e produrre combustibile. Nello specifico emerse che quello presente in 20 kg di roccia poteva bastare a un astronauta per sopravvivere un giorno intero". L'interesse dell'uomo si è poi spostato dalla luna su altri pianeti ma le ricerche di De Maria sono più che mai attuali, "perché proprio oggi sia la Nasa che l'ESA hanno avviato programmi per tronare sulla luna e creare laboratori di ricerca che sfrutteranno le risorse del suolo in loco. La mia esperienza insegna che, a volte, importanti risultati di ricerca arrivano da percorsi inaspettati". Il messaggio alle istituzioni è dunque, di "sostenere la ricerca nelle Università con fondi adeguati".
In collaborazione con:
Ordine dei Chimici e dei Fisici di Roma