Diagnosi in ritardo di anni e pazienti costretti a migrare da una regione all'altra per una prima visita. Queste le conseguenze della mancanza di specialisti di reumatologia sul territorio, un problema che si traduce nell'incapacità di prevenire disabilità permanenti tra i malati reumatici. A dipingere il quadro delle difficoltà nell'accesso alle cure è Mauro Galeazzi, past president della Società Italiana di Reumatologia (Sir). Le malattie reumatologiche sono circa 150 patologie croniche infiammatorie, che coinvolgono ossa, articolazioni, muscoli e tendini, ma anche diversi altri organi, come cuore, reni, polmoni. Alcune, se non curate in modo giusto e tempestivo, accorciano la vita e portano a grave disabilità. Tanto che l'insieme dei pazienti reumatologici 'pesa' per 20 miliardi di euro l'anno, tra terapie e costi indiretti dovuti alle giornate di lavoro perse. "Negli ultimi anni c'è stata una rivoluzione in questo campo ma gli effetti stentano ad arrivare ai malati in tempi utili. Per anni - spiega l'esperto - abbiamo usato pochi farmaci presi in prestito da altre patologie. Dal 1998 l'arrivo dei biotecnologici ha cambiato la storia della malattia. Oggi possiamo scegliere quello giusto per ogni malato e inoltre stanno arrivando nuove terapie a base di piccole molecole. Ma perdiamo tempo prezioso perché mancano i reumatologi negli ambulatori territoriali". Il numero di quelli da formare con le scuole di specializzazione post laurea, infatti, andrebbe stabilito sulla base delle necessità, ovvero 5 milioni di malati reumatici, che arrivano a 9 se contiamo anche quelli con osteoporosi. Ma il panorama italiano è "desolante e a macchia di leopardo", prosegue. "La presenza dei reumatologi è capillare laddove le regioni compensano i posti che mancano, come in Lombardia e Veneto; la Toscana è a metà strada; in affanno il Sud, dove si attendono anche anni per una prima visita, quella che andrebbe fatta il prima possibile, perché iniziare a curare prima la malattia significa evitare danni permanenti". D'altronde lo stesso Piano Nazionale delle Cronicità, approvato dal Ministero della Salute e attuato da poche regioni, non riserva la dovuta attenzione a queste patologie: delle oltre 150 cita solo artriti reumatoide e artriti dei bambini. La cosa non va meglio se si guarda alle reti regionali, la cui istituzione è raccomandata per mettere in connessione il reumatologo e il medico di famiglia, che rappresenta il primo approccio del paziente. "Spesso queste malattie sono difficili da diagnosticare all'esordio, anche perché manca un coordinamento tra le figure sanitarie e l'assistenza - conclude Galeazzi - è priva di un progetto integrato".