(ANSA) - ROMA, 16 MAG - Il rapporto tra rischi e benefici
dello screening per il cancro alla prostata con il test del PSA
è migliore di quanto stimato finora. È vero, infatti, che in
molte persone che si sottopongono all'esame vengono identificati
tumori a crescita così lenta che non avrebbero creato nessun
problema nel corso della vita, ma la probabilità che ciò avvenga
è circa la metà di quanto si pensasse. Lo sostiene una ricerca
coordinata dal New York-Presbyterian Hospital e pubblicata su
NEJM Evidence.
Fino a oggi, spiegano i ricercatori, si è ritenuto che per
ogni persona salvata dalla morte per cancro alla prostata grazie
allo screening, 23 persone ricevono una diagnosi di un tumore
che non avrebbe dato nessun problema nel corso della vita,
magari perché a crescita molto lenta (è la cosiddetta
sovra-diagnosi). Sono 18 invece le persone che si sottopongono a
trattamenti da cui non traggono nessun vantaggio, andando
incontro però agli effetti collaterali delle cure (è quel che è
definito sovra-trattamento).
Lo studio ha smentito questi valori. I ricercatori hanno
elaborato nuovi calcoli in cui è stato allungato il periodo di
osservazione, sulla base della considerazione che il cancro alla
prostata è una neoplasia a crescita molto lenta. In tal modo si
è scoperto che il rapporto tra benefici e rischi è più
favorevole di quanto si ritenesse. Elaborando dati americani del
2016, da cui emerge che lo screening con PSA ha consentito di
salvare 270 mila vite, i ricercatori hanno stimato che il numero
di diagnosi in eccesso per ogni vita salvata è tra 11 e 14 (e
non 23), mentre il numero di trattamenti in eccesso è tra 7 e 11
(invece di 18).
Il rapporto è ancora più favorevole per le persone di pelle
nera, per le quali i valori sono rispettivamente 8-12 e 5-9 per
ogni vita salvata.
Sulla base di questi dati i ricercatori invitano i "policy
maker a riconsiderare l'utilità dello screening per il cancro
alla prostata basato sul test PSA, soprattutto per le persone di
pelle nera". (ANSA).