Funziona più velocemente dei farmaci attualmente in uso, risparmiando ai malati settimane decisive nel controllo dei sintomi della depressione, specie nella forma resistente ai trattamenti. È grazie a questa caratteristica che una molecola derivata dalla ketamina (Esketamina), approvata dall'Agenzia Italiana del Farmaco lo scorso aprile, potrebbe rappresentare una svolta nel trattamento della depressione. È quanto sostiene la Società Italiana di Psichiatria, riunita a Genova per il congresso nazionale, alla luce dei risultati di uno studio italiano dedicato al farmaco.
La ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Affective Disorders, è stata coordinata dall'Università G.
D'Annunzio di Chieti e dall'Università di Brescia. Ha coinvolto altri 22 centri sparsi in tutta Italia in cui sono stati osservati complessivamente 116 pazienti che hanno ricevuto il nuovo farmaco in forma di spray nasale. I risultati mostrano che, con Esketamina, oltre il 64% dei pazienti ha ottenuto un miglioramento significativo e, di questi, il 40% ha avuto una remissione completa della malattia. "I primi sintomi migliorano già nell'arco delle prime 24 ore da una singola dose", dichiarano in una nota Massimo di Giannantonio, coautore della ricerca e co-presidente SIP insieme a Enrico Zanalda. Dopo due mesi, aggiungono, si ottiene "la remissione completa della malattia in quasi la metà dei pazienti".
Secondo gli psichiatri, il nuovo farmaco "può risolvere casi molto gravi di depressione di molti malati che non rispondono alla cura e con alle spalle tentativi di suicidio. La nuova molecola anticipa di quindici giorni l'efficacia delle terapie tradizionali che impiegano più settimane prima di dare risultati", aggiungono gli esperti, che però invitano alla estrema cautela: "si tratta di un farmaco di fascia H territoriale ad uso ospedaliero, cioè utilizzato solo negli ambulatori territoriali dei Dipartimenti di Salute Mentale, da impiegare sotto stretto controllo medico e riservato alle sole forme di depressione resistente al trattamento e a rischio di suicidio", concludono di Giannantonio e Zanalda.