“L’amiloidosi è una malattia ‘curiosa’, atipica rispetto alle altre. Ne esistono fondamentalmente due tipi. In una la ‘colpa’ è in una proteina prodotta dal midollo osseo. In un’altra la proteina è prodotta dal fegato. Di questa seconda forma ne esiste una ereditaria e una collegata all’invecchiamento”. A dirlo è Claudio Rapezzi docente del Dipartimento di Medicina Traslazionale dell’Università degli Studi di Ferrara durante l’incontro “Malattie rare nell’adulto. Quali prospettive nei percorsi di diagnosi e cura”, organizzato da The European House-Ambrosetti. “Si credeva una volta che queste fossero malattie rare, ma sono state sottodiagnosticate. Oggi la difficoltà nel fare la diagnosi è stata parzialmente superata – aggiunge - E’ stato messo a punto uno strumento di diagnosi non invasiva basato su una scintigrafia con tracciante osseo. Con questa, se dal muscolo cardiaco si capta una certa quota del tracciante e se nel sangue ci sono alcuni dettagli, la diagnosi è fatta. Abbiamo a disposizione uno strumento semplice e non invasivo. Gli esami che un paziente può ricevere sono la scintigrafia, il test genetico (per capire se è d’origine familiare o no) e, in alcuni casi selezionati, una biopsia. I centri messi in rete si scambiano informazioni tra loro, organizzano il flusso dei pazienti e offrono un supporto di consulenza reciproca. La buona notizia è che oggi esiste una terapia anche per la forma non ematologica, per la quale solo fino a pochi anni fa non esisteva alcun trattamento”.
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Malattie rare