Le bioplastiche disperse nell'ambiente, ad esempio in mare o sulla spiaggia, hanno tempi di degradazione molto lunghi, comparabili a quelli di materiali plastici non bio: lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista Polymers da Consiglio nazionale delle ricerche - coinvolto con l’Istituto dei processi chimico-fisici (Cnr-Ipcf) e l’Istituto di scienze marine (Cnr-Ismar) -, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e Distretto ligure per le tecnologie marine (Dltm), con il supporto di Polizia di Stato-Centro Nautico e Sommozzatori La Spezia (CNeS).
I ricercatori hanno messo a confronto due polimeri tra i più impiegati negli oggetti di plastica (HDPE e PP) con due polimeri di plastica biodegradabile (PLA e PBAT), verificandone il grado di invecchiamento e degradazione rispettivamente in acqua di mare e sabbia.
L'esperimento è stato realizzato grazie alla piattaforma di monitoraggio ambientale 'Stazione Costiera del Lab Mare', posta a 10 metri di profondità nella Baia di Santa Teresa nel Golfo della Spezia, realizzata nell’ambito del progetto Laboratorio Mare del Distretto ligure per le tecnologie marine, alla quale collaborano anche l’Istituto Idrografico della Marina e l’Enea. Qui, grazie anche al supporto del Centro nautico e sommozzatori di La Spezia e della Cooperativa mitilicoltori spezzini, sono state alloggiate particolari 'gabbie' progettate per contenere i campioni di plastica; è stata inoltre predisposta una vasca contenente sabbia, esposta agli agenti atmosferici per simulare la superficie di una spiaggia.
Nell’arco di sei mesi di osservazione, né i polimeri tradizionali né quelli bio hanno mostrato una degradazione significativa, sia in acqua che sulla sabbia. L’osservazione dei campioni, unitamente all’esito di analisi chimiche, spettroscopiche e termiche condotte presso il laboratorio pisano del Cnr-Ipfc, mostra che nell’ambiente naturale le bioplastiche hanno tempi di degradazione molto più lunghi rispetto a quelli che si verificano in condizioni di compostaggio industriale.
“Data l’altissima diffusione di questi materiali, è importante essere consapevoli dei rischi ambientali che l’utilizzo della bioplastica pone, se dispersa o non opportunamente conferita per lo smaltimento: è necessario informare correttamente”, spiega la ricercatrice Silvia Merlino del Cnr-Ismar di Lerici (La Spezia), coordinatrice del progetto.
"Questo studio - aggiunge Marina Locritani, ricercatrice dell’Ingv e co-coordinatrice dello studio - mette in luce l’importanza di una corretta informazione riguardo alla plastica biodegradabile, soprattutto dopo lo stop alla plastica usa e getta in vigore in Italia dal gennaio 2021 in attuazione della direttiva europea ‘Single use plastic’, che ha portato alla progressiva commercializzazione di prodotti monouso in plastica biodegradabile, come i polimeri presi in esame”.
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