L’eruzione del vulcano islandese Fagradalsfjall, iniziata il 19 marzo 2021 dopo circa 800 anni di quiescenza, ha fatto luce su diversi meccanismi alla base del risveglio dei vulcani, portando a una migliore comprensione dei processi che avvengono prima e durante un’eruzione. Ha infatti fornito i primi dati diretti sul comportamento del mantello terrestre. Lo indicano due studi, ai quali hanno partecipato diversi ricercatori italiani,
pubblicati entrambi sulla rivista Nature e guidati dall’Università dell’Islanda.
L’evento del 2021 è risultato particolarmente prezioso poiché il magma non ha fatto soste all’interno della crosta terrestre prima di fuoriuscire, permettendo così di raccogliere informazioni dirette sulle caratteristiche del mantello, lo strato compreso tra crosta e nucleo dal quale proviene il magma.
“Sappiamo da tempo che il mantello terrestre ha una composizione chimica molto variabile, caratteristica che si riflette anche sul magma eruttato durante i fenomeni vulcanici”, dice all’ANSA Alessandro Aiuppa, ricercatore e docente presso l’Università di Palermo, che ha partecipato alla ricerca. “Quello che abbiamo potuto osservare con il vulcano islandese è che la sorgente del magma è diventata più profonda nel corso dell’eruzione, drenando quindi altro magma proveniente da profondità maggiori e per questo arricchito con altri elementi chimici. Questo vuol dire – prosegue Aiuppa – che le transizioni tra le sorgenti di magma presenti nel mantello possono avvenire molto più velocemente di quanto ritenuto finora, nell’ordine di pochi giorni”.
I ricercatori, guidati per questa parte dello studio da Sæmundur Halldórsson e dei quali fanno parte anche studiosi della sezione di Catania dell'istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), hanno raccolto molti campioni di materiali, sia solidi che gassosi, eruttati durante i primi tre mesi dall’inizio del fenomeno, riuscendo a osservare appunto ‘in diretta’ i cambiamenti nella composizione chimica del magma. “Il contributo dell’Università di Palermo, in particolare, è stato importante per quanto riguarda la misurazione dei gas”, aggiunge il ricercatore italiano. “Siamo stati noi, infatti, a fornire i piccoli strumenti che, una volta montati su droni, hanno permesso l’analisi di questi composti, che ci hanno consentito di risalire alla profondità dalla quale proveniva il magma”.
Il secondo studio, guidato da Freysteinn Sigmundsson, ha permesso invece di studiare in dettaglio i fenomeni sismici che hanno preceduto l’eruzione. Quella islandese è stata inizialmente preceduta da un aumento dell'attività sismica e della deformazione superficiale della crosta terrestre, fenomeni che poi sono diminuiti per diversi giorni appena prima dell'eruzione. Per spiegare questo meccanismo, gli autori dello studio suggeriscono che le forze vengano immagazzinate nella crosta terrestre quando il magma è in risalita: il declino dell'attività sismica e della deformazione del suolo possono significare che questo processo sta volgendo al termine e che il magma erutterà. I risultati dimostrano, quindi, che per poter prevedere le eruzioni è necessario tenere in considerazione anche l’interazione tra i processi vulcanici e la composizione della crosta.
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