Dalle barriere coralline ai ghiacci antartici, da laghi a città, sono 12 i siti del pianeta candidati a diventare simbolo dell’Antropocene, la nuova era caratterizzata dalla presenza umana. Uno di questi si trova in Italia, in Trentino Alto-Adige: è la Grotta di Ernesto, che prende il nome del ragazzo che per primo si infilò nell’antro al momento della sua scoperta. Il sito italiano, che era stato inserito nell’elenco grazie alla presenza di una stalagmite che si era formata negli ultimi decenni, ma non presenta gli stringenti requisiti richiesti e non può quindi aspirare ad essere eletto. Il vincitore, secondo un articolo pubblicato sulla rivista Science, sarà comunque noto a breve: la scelta dovrebbe infatti avvenire entro la fine dell’anno, ad opera del Gruppo di lavoro sull’Antropocene (Awg) della Commissione Internazionale sulla Stratigrafia (Ics).
Questo sarà però solo il passo iniziale di un lungo processo, che dovrà superare diverse votazioni per essere formalmente approvato, dando così all’Antropocene una data di inizio ed una definizione precisa.
Ufficialmente, l’epoca geologica in cui viviamo è quella dell’Olocene, che comprende gli ultimi 12mila anni circa a partire dall’ultima Era glaciale. Tuttavia, le più recenti attività umane (in particolare a partire dalla metà del XX secolo) hanno drasticamente alterato molti componenti del sistema terrestre, lasciando segni innegabili nella documentazione geologica che giustificherebbero il riconoscimento di una nuova era distinta dall’Olocene: l’Antropocene, appunto. È proprio a questo scopo che sono stati selezionati i 12 siti sparsi in tutto il globo. Uno di questi, infatti, fungerà da punto di riferimento in base al quale sarà possibile stabilire una data esatta di inizio e le caratteristiche specifiche che marcano l’ingresso nella nuova era: tra queste, la presenza di ceneri derivanti dalla combustione di carbonio e carburanti e la presenza di isotopi (atomi che si differenziano solo per il numero di neutroni) di plutonio, dovuti ai test nucleari, ma anche quella di microplastiche e metalli pesanti.
Dei 12 siti candidati, due siti si trovano sul fondo del mare: uno al centro del Mar Baltico, tra Svezia e Paesi Baltici, e uno nella baia giapponese di Beppu. Entrambi presentano spessi strati di fango scuro che contegono anche ceneri, microplastiche e pesticidi, nettamente separati da quelli sottostanti molto più chiari. Altre due zone sono state individuate nelle barriere coralline di West Flower Garden Bank, nel Golfo del Messico, e di Flinders Reef, in Australia: qui, gli scheletri dei coralli conservano bande di crescita ben visibili che testimoniano i cambiamenti ambientali, come aumento dell’utilizzo di combustibili fossili e riscaldamento del mare.
Altri tre siti si trovano all’interno di laghi: il Lago Crawford in Canada, quello Sihailongwan in Cina e quello di Searsville negli Stati Uniti, creato grazie ad una diga. In tutti e tre è possibile trovare i segni delle emissioni industriali e dell’utilizzo dei combustibili fossili, come fuliggine, cenere, metalli pesanti, idrocarburi e pesticidi. Ma il punto di riferimento per l’Antropocene potrebbe anche trovarsi in una palude della Polonia, o in Antartide in una carota di ghiaccio estratta dall’Arcipelago Palmer, in cui lo strato corrispondente all’era umana è il più lungo in assoluto (circa 32 metri). Infine, tra le proposte avanzate ma con scarse possibilità, troviamo l’estuario della Baia di San Francisco e gli strati al di sotto della città di Vienna, che forniscono quasi 200 anni di storia di pronunciati cambiamenti urbani.
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