Google ha accettato di risolvere una causa risalente al 2020, incentrata sulla modalità di navigazione "incognito" del suo browser web, Chrome. Invece di andare avanti per tribunali, Big G ha deciso di scendere a patti per la denuncia che vedrà una fine tra gennaio e febbraio, dopo il rifiuto di archiviazione da parte di Yvonne Gonzalez Rogers, giudice del distretto settentrionale della California, lo scorso agosto. L'accusa, sotto forma di class action, chiede un risarcimento di oltre 5 miliardi dollari. Nel testo originale si legge "Google memorizza i dati di navigazione privati degli utenti, per inviare annunci personalizzati e per identificare in modo univoco ognuno di loro, con un'alta probabilità di successo". In origine, la modalità "incognito" di Google Chrome dovrebbe evitare che le attività delle persone online vengano tracciate, impedendo la cronologia della navigazione, delle ricerche e così la creazione dei cosiddetti cookie, le impronte lasciate durante l'uso del web. Nonostante ciò venga fatto, apparentemente gli addetti ai lavori riescono comunque a ottenere informazioni identificative sugli utenti, sulle quali costruire campagne ad-hoc. Come scrive il New York Post, per i querelanti Google ha utilizzato strumenti tra cui Analytics per monitorare gli utenti, dimostrando il tutto con conversazioni via email che avvalorerebbero la testi secondo cui l'azienda poteva effettivamente aggirare quanto promesso con la modalità privacy attivata. In precedenza, il colosso aveva ricordato come Chrome indichi, ogni volta che si apre una nuova scheda in incognito, che i siti web potrebbero essere in grado di raccogliere informazioni sulle attività di navigazione durante la sessione. In una successiva dichiarazione, Google ha sottolineato di "lavorare sempre per migliorare le proprie pratiche sulla privacy", volendo continuare a investire in "tecnologia e controlli che offrano agli utenti più trasparenza sui propri dati".
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