BRA (CUNEO) - Un terremoto devastante, poi un inverno molto rigido e, infine, un'estate siccitosa. Da oltre un anno nel Centro Italia c'è chi deve convivere con enormi difficoltà, ma non vuole lasciare le sue terre. A 'Cheese', la rassegna internazionale sul settore-lattiero caseario in corso a Bra (Cuneo), alcuni allevatori delle zone terremotate hanno portato la loro storia, all'incontro "L'Appennino che stiamo perdendo", organizzato nello spazio della Regione Piemonte.
"La rinascita delle zone terremotate dell'Abruzzo, così come la salvaguardia e il rilancio delle aree depresse delle vallate alpine piemontesi, - ha detto Giorgio Ferrero, assessore all'Agricoltura della Regione Piemonte - passa attraverso un processo culturale, che parte fin dalle scuole".
Luigi Decarolis, allevatore e casaro di Civita di Cascia in provincia di Perugia, ha visto la sua stalla crollare davanti ai suoi occhi. Ha sette figli: "Il 24 agosto dello scorso anno la mia vita è cambiata in un lampo - racconta -. E da allora è dura sopravvivere. Lo scorso inverno ci ha messo a dura prova, la siccità poi ha fatto il resto. Non ho più una stalla, le bestie sono in ripari d'emergenza, quando piove l'acqua entra in ogni angolo. Passata l'emergenza, si sono spenti i riflettori. Ma non voglio mollare. Potrei vendere, ma ho detto ai miei figli che se vendiamo, finisce tutto. Resisterò".
"E' difficile fare economia - ha dichiarato Fiorenzo Sarto, del consorzio Pecorino di Farindola, nuovo Presidio Slow Food - dopo una tragedia così. Ci sono mancati gli aiuti immediati. La popolazione resiste, in molti ci aiutano, ma serve l'aiuto del Governo. Lo Stato è l'unico che può intervenire sulle infrastrutture.
Lorenzo Berlendis, vicepresidente Slow Food Italia, concorda con Sarto e aggiunge: "La partita si gioca sulla tenuta del tempo. C'è il rischio di 'spaesamento', questo dicono gli amministratori dei territori terremotati. Ma i paesi non devono morire. Rischiamo di perdere l'identità di un territorio e la sua ricchezza agricola e gastronomica".
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