Tre grandissime opere che parlano stili e linguaggi diversi. E tre artisti appartenenti a contesti e generazioni diverse, che in apparenza sembrano avere poco in comune: Tsibi Geva (Kibbutz Ein Shemer, Israele, 1951), di origine ebraica askenazita, figlio di uno dei maggiori esponenti del Bauhaus israeliano, artista noto a livello internazionale che vive e lavora tra Tel Aviv e New York; Maria Saleh Mahameed (Umm el-Fahem, Israele, 1990) nata e cresciuta nella più popolata città araba di Israele, figlia di padre palestinese e madre ucraina e cristiana; Noa Yekutieli (Los Angeles, USA,1989), artista multidisciplinare autodidatta nata in California da madre giapponese e padre israeliano, che lavora tra Tel Aviv e Los Angeles. Eppure insieme raccontano (e incarnano) le inattese connessioni di una delle più complesse realtà culturali, tra identità, luoghi, memoria e legami. È Concious Collective, la mostra realizzata dalla Fondazione Maxxi in collaborazione con l'ambasciata di Israele in Italia e curata da Bartolomeo Pietromarchi e Shai Baitei, con la curatrice associata Elena Motisi, alla Sala Claudia Gian Ferrari del Museo delle arti del XXI secolo dal 17 marzo al 4 giugno.
"Una mostra - racconta il presidente della Fondazione Maxxi, Alessandro Giuli - che nasce da un rapporto storico personale e collettivo con lo Stato di Israele, con la comunità ebraica e tutte le identità di cui si compone lo Stato ebraico". È, dice, "il miracolo dell'amicizia". "Una mostra importante", concorda l'ambasciatore israeliano a Roma, Alon Bar, che porta al Maxxi le opere di tre rappresentanti che con le loro "pratiche artistiche e biografie diverse, rappresentano la varietà di voci e complessità della realtà israeliana".
"La mostra - spiega all'ANSA Pietromarchi - nasce seguendo l'idea che abbiamo sempre avuto qui al Maxxi, ovvero di essere una piattaforma per l'incontro, il dialogo e in questo caso addirittura per l'amicizia, perché questi tre artisti si conoscono molto bene e da tempo fra loro. Quello di questa mostra - aggiunge - oggi è un messaggio sociale, prima ancora che artistico" che rimanda, dice, "ad una profonda consapevolezza e comprensione reciproca". A colpire i tre, rivela, le grandi altezze a disposizione, sulle quali "hanno lavorato rimodulando lavori precedenti".
Ecco allora la raffinatezza del lavoro di Maria Saleh Mahameed, "Ludmilla", prima tappa di un percorso sulla sua famiglia. E poi l'installazione Where we stand di Noa Yekutieli, che combina il taglio della carta giapponese con la curiosità di scoprire cosa si celi dietro le sue "finestre". Fino alla ricerca di connessioni e disconnessioni della vita nel Where I come from di Tsibi Geva.
Un viaggio che racconta "la bellezza del nostro Paese - aggiunge Baitei - e cosa significhi essere un melting pot. Una grande complessità, ma con una missione, una consapevolezza collettiva comune"..
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