ROMA - Anche i rottami hanno un loro valore espressivo. Dare un senso nuovo ai materiali di scarto come scelta del percorso creativo. E' il filo che lega le opere di Brajo Fuso (1899-1980), artista perugino che ha vissuto la sua stagione più proficua tra gli anni Sessanta e Settanta. Su di lui concentra l'attenzione la galleria romana Futurism and Co con la mostra, fino all' 11 gennaio, a cura di Andrea Baffoni e Giancarlo Carpi e il contributo di Massimo Duranti. Una quarantina di tele e composizioni descrivono la ricerca nel campo dell' Informale sviluppata con colori e i materiali più disparati, lana di vetro, legni, corde, reti metalliche, tappi di bottiglie. Ci sono anche le tele su cui Brajo Fuso ha lasciato colare i colori con la tecnica del dripping, che in quegli anni a New York aveva fatto di Jackson Pollock il maestro dell' Action Painting. I lavori vengono messi a confronto con quelli di altri maestri, Alberto Burri, Lucio Fontana, Enrico Prampolini, Andrè Masson e Salvatore Scarpitta.
Brajo Fuso - lo strano nome è una abbreviazione di febbraio - trovò spazio nell'arte italiana del dopoguerra in modo fortuito.
Non ci fosse stata quella ferita di guerra che nel 1942 che lo costrinse a una lunga degenza, sarebbe forse rimasto il dentista titolato che era, geniale per aver inventato il ''riunito odontoiatrico'', la poltrona attrezzata per i pazienti. Invece, l'immobilità in casa e l' insistenza della moglie Bettina - pittrice, vivace animatrice di un salotto frequentato da nomi di calibro come Guttuso, Argan, Falqui, Malaparte - furono il motivo dell'incontro con la pittura. Brajo Fuso, nota Carpi, fu ''artista eclettico e sperimentatore originalissimo della materia e del riuso degli oggetti nella stagione dell'Informale italiano e del New Dada''. La sua attività ''si esplicita nella pratica del riciclo di oggetti destinati a una nuova funzione, non solo sottratti al loro valore di uso ma già disfunzionali, siano essi scarti della civiltà consumistica, tappi oppure materiali 'guasti' o 'tossici', piccoli imbuti o spugne''.
Materiali di scarto che ''possono avere un loro valore estetico, cromatico, formale''. Per l' amico Andre Verdet, quella di Fuso è dèbrisart, arte del rottame.
A partire dagli anni Sessanta Brajo Fuso si dedicò alla celebrazione dei rottami realizzando il Fuseum, il museo all' aperto alle porte di Perugia dove le sue creazioni - figure umane e animali, fiori - fatte con pezzi di lamiera, serbatoi di vecchie moto, porzioni di automobili ''decorano e a volte integrano la natura''. Sotto quel bosco-museo, osserva Duranti, ''l' artista di spiccata originalità è rimasto sepolto per troppo tempo'' e merita di essere riscoperto dopo il silenzio calato su di lui con la sua morte. Giulio Carlo Argan, pochi mesi prima della scomparsa di Fuso, disse: ''Verrà il momento in cui la sua opera verrà valutata sul piano estetico generale per quello che realmente rappresenta: la capacità di reazione creativa all'ambiente in cui si vive''. Per Duranti fu una reazione ''al consumismo che si viveva all' epoca, pronunciato profeticamente e ironicamente in chiave anti-pop con i rifiuti del consumismo, non con le sue icone''.
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