(di Luciano Fioramonti)
La Sicilia sul finire degli
Cinquanta con la vita delle persone e la mafia della tradizione,
l'Italia agli albori del ''boom'' tra i primi segnali di voglia
delle donne di emanciparsi, le periferie di Roma, il lavoro e lo
sfruttamento dei minori, e poi il Vietnam della guerra, l'India
delle caste e della povertà, i contadini del Perù, il Brasile e
il sud America. Un mosaico di contrasti e contraddizioni, volti
e scene che costringono alla riflessione, un narrare militante
che unisce la denuncia sociale alla sensibilità verso una
condizione umana universale, senza distinzioni geografiche. E'
il mondo amaro ma ricco di fascino documentato, spesso con
taglio ironico, dall'occhio di Calogero Cascio, tra i maestri
della fotografia del dopoguerra eppure sconosciuto non solo dal
grande pubblico italiano, sul quale finalmente concentra
l'attenzione fino al 9 gennaio prossimo il Museo di Roma in
Trastevere con la mostra ''Pictures stories, 1956-1971''. Per
questa prima - incredibile a dirsi - rassegna antologica
dedicata all'artista siciliano la curatrice Monica Maffioli ha
selezionato più di cento stampe da fotografie d'epoca e stampe
recenti dai negativi originali scegliendole dall'archivio di
famiglia affidato ai figli Natalia e Diego Cascio e La
Biblioteca Nazionale di Firenze, che raccoglie l'archivio della
celebre rivista 'Il Mondo' di Mario Pannunzio, dove il
fotoreporter lavorò fino alla fine delle pubblicazioni. Ne esce
un racconto di anni cruciali per la storia italiana fatto di
istanti in bianco e nero che descrivono abitudini e costumi
nazionali, dalle prima tv su un trespolo per un gruppo di
avventori di un bar alla sposa in abito bianco dentro la mitica
Fiat 600, simbolo pop del miracolo economico, alle tre anziane
in nero di una sezione del Pci di Velletri (Roma) sotto il
cartello ''W Udi, che rivendica la pensione per le donne
casalinghe''. Ma seppe anche creare scandalo quando nel 1966
dedicò un reportage al delitto d'onore, argomento tabù per
quegli anni, e fu interprete straordinario della Sicilia
dell'epoca, il primo a descrivere - osserva la curatrice - la
'cultura mafiosa, la mafiosità degli sguardi e degli
atteggiamenti, come nel funerale del padrino o i due uomini con
la lupara su un carretto. A tutto questo fa da contraltare lo
sguardo sui drammi della guerra e sui volti di adulti e bambini
còlti nei suoi continui viaggi all'estero. Calogero Cascio, che
era nato a Sciacca nel 1927, nel 1949 aveva scelto Roma (dove è
morto nel 2015) e dopo la laurea in medicina aveva cominciato ad
esercitare nelle borgate. Nel 1956 scoprì da autodidatta la
passione per la fotografia collaborando poi, appunto, con Il
Mondo e con l'Espresso. Con i colleghi Caio Garrubba e i
fratelli Antonio e Nicola Sansone - accomunati dall' idea del
''reportage giornalistico come azione politica'' - fondò l'
Agenzia RealPhoto, espressione con il lavoro di altri
professionisti della ''scuola romana'' di fotogiornalismo. ''E'
la prima mostra in assoluto su Calogero Cascio - spiega Monica
Maffioli - molto conosciuto all' estero nei dieci anni e poco
più in cui ha lavorato. Produsse però tantissimo con la capacità
di leggere la realtà in modo letterario e giornalistico. Non
cercava la notizia, era un fotoreporter intellettuale, politico,
di denuncia, un uomo di lotta e di impegno sociale come molti
freelance dell'epoca. Fece i suoi grandi reportage per scoprire
e vedere da vicino l'umanità universale delle persone, le loro
emozioni e i momenti difficili''. All'inizio degli anni
Settanta, riflettendo sulle difficoltà attraversate dai
giornali, Cascio lasciò la fotografia e si dedicò all'editoria.
''Life sta finendo, Look è finito, Paris Match è in crisi, i
giornali sono senza una lira - spiegò -. Per questo anch'io
viaggio meno ma senza rimpianti perché, in fondo, le cose grosse
della mia vita le ho viste''.
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