(di Luciano Fioramonti)
Henri Cartier Bresson lo avrebbe
voluto nella sua mitica agenzia Magnun ma lui rifiutò per
continuare a inseguire la vita con la libertà e l' indipendenza
che lo resero un maestro solitario del fotogiornalismo del
Novecento. Caio Mario Garrubba era molto più apprezzato all'
estero di quanto non fosse in Italia e aveva la stoffa dei
grandi nomi internazionali dello scatto, da Robert Capa a
William Klein, ma a distinguerlo era la scelta della strada come
il palcoscenico attraversato dalle persone con le loro emozioni
e le loro storie, la vetrina di un ''proletariato universale''
raccontato nel suo vivere quotidiano, l' ambiente in cui fissare
il momento decisivo. A lui rende omaggio Palazzo Merulana, a
Roma, con la bella mostra fino al 28 novembre organizzata dall'
Archivio Storico dell' Istituto Luce, che nel 2017 ha ricevuto
il fondo di immagini del fotografo. I curatori Emiliano Guidi e
Stefano Mirabella hanno lavorato a lungo per scegliere le 116
immagini, quasi tutte inedite, dall' immenso tesoro di centomila
scatti, 60 mila negativi e 40 mila diapositive, lasciato in
eredità da Garrubba. A tenerle insieme è proprio il punto di
vista particolare, la ''stradale'' come la chiamava lui, quella
fotografia di strada di cui è stato campione indiscusso.
''E' giunta l' ora di Gaio Mario Garrubba - spiega Guidi -
di valorizzarne il lavoro rendendo riconoscibili le sue
fotografie e dargli la giusta collocazione nella storia della
fotografia internazionale. La 'street photography' è un genere
oggi molto frequentato ma lui lo ha fatto prima di tutti negli
anni Cinquanta. E' stato un precursore anticipando linguaggi
maturati molto tempo dopo''. Napoletano, classe 1923, cominciò
nel 1947 a lavorare da redattore del settimanale della Cgil
''Lavoro'', fondato da Giuseppe di Vittorio. Sei anni dopo
eccolo fotoreporter freelance, viaggiatore per grandi reportage
nei luoghi ''caldi'' del dopoguerra, la Spagna di Franco, la
Russia di Kruscev, Polonia, Cecoslovacchia, la Cina di Mao (dove
in due mesi scattò quattromila foto), le due Germanie, il
Brasile, Gli Stati Uniti. Life, Stern, Le Nouvelle Observateur,
Paris Match, Il Mondo, Epoca, L' Espresso sono tra le testate
principali che pubblicavano le sue foto ma Garrubba non amava i
lavori commissionati. Era un fotoreporter còlto che voleva
essere libero di fotografare con metodi e tempi tutti suoi,
preferiva vagabondare per le strade, come ha raccontato la
moglie Alla Folomietov, perché gli interessavano i volti, gli
sguardi, la vita quotidiana di uomini e donne senza
sensazionalismo. Nelle sue foto ''non capita niente, sta solo
passando la vita'', annota in modo appassionato Tano D'Amico nel
bel catalogo. ''Pochi come lui -ha spiegato - hanno saputo far
sentire la vita che passa. Che cosa rende vive certe immagini?
La capacità propria dei vampiri di risucchiare la vita di chi
guarda. Era in più bravo, il fotografo dell' anima inquieta e
irriducibile di tutti noi''. Caio, sottolinea il maestro,
''mise in discussione tutti i regimi del mondo per tutta la
vita. Nessun romanzo, nessun saggio riesce a rendere il mondo di
quegli anni con la stessa fedeltà, intensità e sete di altri e
più umani modi di vivere delle sue fotografie''
Per una una felice coincidenza, la mostra ''Freelance di
strada'' che racconta la sua avventura artistica trentennale
si apre pochi giorni dopo quella altrettanto bella che il Museo
di Roma in Trastevere sta dedicando a Calogero Cascio, amico e
collega di Garrubba, come lui morto nel 2015. Insieme i due
aprirono nella Capitale l' agenzia Realphoto, espressione della
''scuola romana'' di fotogiornalismo. Entrambi, pur diversi,
''fotografi dell' umanità''.
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