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Franco Angeli, Pittura tra presente, memoria e dolore

Franco Angeli, Pittura tra presente, memoria e dolore

A Roma retrospettiva su un maestro del Secondo Novecento

ROMA, 11 dicembre 2022, 10:39

di Luciano Fioramonti

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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 Prima, sul finire degli anni Cinquanta, l' influenza dell' Informale nell' intreccio tra meteria e gesto, poi la ''volontà di lotta e trasformazione'' che connota l' impegno politico delle opere realizzate dalla fine degli anni Sessanta, e infine lo sguardo indietro degli anni Ottanta, carico di valore metafisico. E' riassunto in una settantina di 70 dipinti realizzati in tre decenni di attività il percorso di Franco Angeli, artista romano tra i nomi di punta della nuova generazione di pittori che irruppero sulla scena negli anni del boom economico, raccontato dalla retrospettiva che gli dedica fino al 26 marzo lo spazio espositivo We Gil, a Roma. Con Tano Festa e Mario Schifano, Franco Angeli è stato tra gli esponenti della Scuola di Piazza del Popolo erroneamente considerata in linea con i nomi che in quegli anni dominavano il panorama degli Stati Uniti e New York, in particolare. ''Non ho mai dipinto un quadro nello spirito della Pop Art'', tenne invece a chiarire in una lettera del 1964, l' anno in cui partecipò alla Biennale di Venezia nella quale la corrente artistica americana tenne banco. La sua fu una vita breve - morì nel 1988 ad appena 53 anni - che la mostra curata da Silvia Pegoraro da un'idea del gallerista e collezionista Aldo Marchetti, in collaborazione con l'Archivio dell' artista presieduto dalla figlia Maria, illustra con opere di collezioni private.
    Angeli considerava l'esperienza artistica un'azione nel presente radicata nella memoria. "I miei primi quadri - spiegò - sono la testimonianza del contatto quotidiano con la strada.
    Vidi i Ruderi, le Lapidi, simboli antichi e moderni come l'Aquila, la Svastica, la Falce e Martello, obelischi, statue, Lupe Romane sprigionare l'energia sufficiente per affrontare l'avventura pittorica". All' inizio, raccontò Angeli, ''dipingevo con qualunque tipo di materiale mi capitasse a portata di mano… garze, calze di seta che laceravo, a volte le intingevo nel gesso come se fossero le scritte cancellate che si vedono sui muri di Roma''. Pensando agli anni della guerra e del bombardamento di San Lorenzo, disse che ''la materia è un frammento della enorme lacerazione che ha travolto l'Europa. I miei primi quadri erano così, come una ferita dalla quale togli dei pezzi di benda, dove il sangue si è rappreso e non è più una macchia rossa''. I dipinti degli anni Settanta riflettono, invece, la militanza e il clima storico e sociale tormentato, dal colpo di stato in Cile alla guerra del Vietnam, dalle proteste studentesche al golpe militare in Argentina, fino al rapimento di Aldo Moro e alla strategia della tensione. A partire dagli anni '80 nelle tele di Angeli compaiono gli aeroplani, ricordi dei bombardamenti subiti dalla capitale durante la Seconda guerra mondiale, con i suoi obelischi e le sue piramidi che dal 1985 virano verso la visione metafisica.
    Franco Angeli - ma il suo nome era Giuseppe - era un figlio della Roma popolare. Nato nel 1935 nel quartiere San Lorenzo in una famiglia antifascista e socialista, lasciò la scuola elementare negli anni della guerra e lavorò come facchino ai mercati, garzone di barbiere e poi di lavanderia, con un tappezziere e in una carrozzeria. Alla pittura si avvicinò da autodidatta nel 1955 e nello studio dello scultore Edgardo Mannucci scoprì i lavori di Burri che influenzarono la prima fase della sua opera. In quello stesso anno aderì al Partito Comunista e conobbe Festa e Mario Schifano, con i quali stringe una amicizia profonda e solida. Dal Pci si allontanò dopo l' invasione russa dell' Ungheria spostandosi ancora più a sinistra. ''I pittori degli anni Sessanta - ha raccontato il nipote Franco parlando del documentario 'Lo spazio inquieto' che gli ha dedicato, presentato pochi giorni fa al Torino Film Festival - avevano dentro una sofferenza portata dalla guerra che era fondamentale per la loro arte. In qualche modo non riuscivano mai a essere felici, per questo qualcuno li aveva chiamati 'i maestri del dolore', invece di maestri del colore.
    L' infanzia dolorosa Franco se l' è portata per tutta la vita''.
   
   

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