È in corso in Egitto la sessione di udienze in cui è inserita la seconda del processo a Patrick Zaki, lo studente egiziano dell'università di Bologna in carcere in Egitto da quasi 20 mesi. I giornalisti sono stati ammessi con diffida dal girare video o scattare foto. In aula, fra la cinquantina di persone presenti, ci sono George, padre di Patrick, la sorella Marise e un dirigente della ong 'Eipr' per la quale Patrick lavorava come ricercatore. La gabbia degli imputati era vuota. In tribunale è stato portato anche Patrick, nella gabbia degli imputati in manette che poi gli sono state tolte dopo meno di cinque minuti. Lo ha constatato l'ANSA sul posto.
Come la prima udienza svoltasi il 14 settembre, quella odierna si tiene di nuovo davanti a una Corte della Sicurezza dello Stato per i reati minori (o d'emergenza) di Mansura, la città natale di Patrick. Nell'ala nuova del vecchio Palazzo di Giustizia, è previsto che nell'ambito di una sessione di varie ore vengano esaminati molte decine di casi.
Visto il tipo di corte, si desume che l'accusa a suo carico su cui si dibatterà oggi sulla base di tre articoli giornalistici è quella di "diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese". Un reato sanzionato con un massimo di cinque anni di carcere. La corte può emettere una sentenza inappellabile in qualsiasi udienza. È già stato confermato però da una legale dello studente che restano in piedi (si presume quindi da affrontare eventualmente in altra sede) le accuse di "minare la sicurezza nazionale" e di istigare alla protesta, "al rovesciamento del regime", "all'uso della violenza e al crimine terroristico": le ipotesi di reato basate sui dieci post su Facebook di controversa attribuzione. Si tratta di crimini che gli fanno rischiare 25 anni di carcere, secondo Amnesty International, o addirittura l'ergastolo, hanno sostenuto fonti giudiziarie egiziane.