"La linea scelta da Aifa e Iss per la sperimentazione sul plasma iperimmune in Italia non permette di raggiungere l'obiettivo sperato. Ad oggi sappiamo che, in modo aneddotico, in base ad uno studio pilota, è stata notata un'efficacia clinica a Pavia e Mantova, come nel resto del mondo, ma ci sono ancora troppi aspetti che non conosciamo". E' l'opinione del professor Piermaria Fornasari, ex primario dell'ospedale Rizzoli, ematologo esperto di medicina trasfusionale.
"Non abbiamo - dice all'ANSA - studi in doppio cieco, non conosciamo quale debba essere la soglia anticorpale minima per la donazione, non sappiamo neppure se l'efficacia clinica dipenda solamente dalla presenza di anticorpi o anche da altri principi attivi presenti nel plasma umano, non sappiamo il timing e il numero di somministrazioni, ma soprattutto l'outcome del suo utilizzo, se evitare il ricorso alla terapia intensiva (come nel trial toscano) o il distacco dal respiratore. Essendo una risorsa limitata, ne avremo poco: per utilizzare un farmaco così raro con successo contro il Covid-19 è necessario sapere esattamente come, quanto, in che momento e per quale finalità infonderlo nei pazienti".
Il trial, per Fornasari, "ci dovrebbe anche aiutare ad individuare in base a quali parametri clinici e di laboratorio iniziare e verificare l'efficacia della terapia: un parametro, ad esempio, potrebbe essere l'aumento dei globuli bianchi neutrofili, la cui attivazione presenta il punto di svolta della malattia". Il problema, quindi, è che "abbiamo bisogno di molte più informazioni dai trial clinici: servirebbero molti più protocolli, ciascuno dedicato ad approfondire uno di questi aspetti, e un coordinamento a livello europeo. Altrimenti si rischia di sprecare una risorsa che, non dimentichiamocelo, è e sarà sempre limitata".