di Redazione ANSA

L'innovazione in agricoltura e la fatica dell’ultimo miglio

L’esercito degli innovatori italiani in agricoltura è in movimento, ma il tratto di strada più difficile è l’ultimo miglio, quello per arrivare al mercato e alla società. Secondo i dati del portale dell’innovazione in agricoltura Innovarurale, in Italia sono 458 i Gruppi operativi del partenariato europeo per l’innovazione per la produttività e la sostenibilità selezionati in 11 regioni e due province autonome per un contributo pubblico, tra fondi Ue e nazionali, che supera i 205 milioni di
euro. Grazie ai finanziamenti nei programmi di sviluppo rurale i gruppi operativi riuniscono agricoltori, consulenti, ricercatori, imprese e ong per promuovere un modello di innovazione collaborativa 'dal basso'. La selezione dei gruppi è ancora in corso in sette regioni e nuovi se ne aggiungeranno con l’obiettivo di arrivare a 626, mettendo l’Italia al secondo posto nell’Ue per numero di gruppi. Alcune regioni, come Emilia-Romagna e Veneto, sono già alla fase dei risultati.

Anagrafe, cultura, regole

AGRI UE Reportage Innovazione

I gruppi operativi e il network europeo per l’innovazione nella produttività e sostenibilità dell’agricoltura (Pei-Agri) sono la scommessa dell'Ue per il rilancio del sistema dell'innovazione nel settore primario, che soffre per lo scollamento tra la ricerca e le esigenze concrete delle imprese e dei consumatori. Il Pei prevede l’ancoraggio ai bisogni delle aziende e della società grazie a un modello di co-creazione, basato sull'interazione e la combinazione tra professionalità, competenze e saperi diversi. Il tutto implica una sorta di agricoltore-sperimentatore, che oltre a produrre alimenti, collabori con l’università, partecipi alla nascita di nuove soluzioni per problemi piccoli e grandi e le condivida con gli altri. Affermare questo modello è un’impresa titanica. Da decenni l’innovazione agricola si “trasferisce”, non si “co-crea”. Spesso l’agricoltore, l’anello debole della catena del valore, semplicemente vi si adegua. Come accade con la remunerazione per i propri prodotti. Non ha né il tempo né il denaro per innovare.

“L’agricoltore è abituato a ottenere un valore molto basso per i suoi prodotti e per lui non è contemplabile nessun’altra spesa se non quella per la produzione. Quindi non investe in ricerca o perché non può permetterselo, o perché non ne percepisce il valore”. A parlare è Valerio Guidolin, agricoltore-biotecnologo di 30 anni. Non fa parte di gruppi operativi ma crede nell’innovazione come leva di competitività e ha fatto della ricerca il suo business. Ha iniziato a sperimentare colture in vitro con le piante carnivore e oggi con la sua azienda agricola Diflora produce giovani piante di tutti i tipi, dagli ortaggi alla frutta e anche il luppolo, che non ha grande tradizione in Italia, ma è essenziale per fare birra artigianale tutta made in Italy.

“Le aziende più giovani sono mediatamente più ricettive – prosegue nel suo racconto Guidolin – ma non è solo questione anagrafica, se poi un imprenditore non è libero di poter crescere. Saper valorizzare chi genera innovazione dovrebbe essere il compito di chi legifera, perché significa garantire lo sviluppo di un mercato più competitivo“.


Fare squadra

AGRI UE Reportage Innovazione

“Il produttore è il primo sperimentatore, ma non può testare contemporaneamente 40 varietà di pomodoro o sei tecniche di coltivazione diverse. Quello lo facciamo qui”, racconta Franco Tosini, responsabile del centro sperimentale ortofrutticolo Po di Tramontana di Veneto Agricoltura, l’agenzia regionale per il settore primario. Il centro nasce dalle prime esperienze locali di innovazione partecipata sul pomodoro da industria, intorno alla metà degli anni Ottanta, per
valorizzare le varietà del territorio in un settore dominato da industrie sementiere estere.

“Quello che potrebbe funzionare meglio è il gioco di squadra – continua Tosini – lavorare tra tutti i soggetti della filiera, dal seme alla ricerca, università e centri come il nostro, fino al mercato, cioè produttori, associazioni di produttori e associazioni di categoria. Se riuscissimo a fare più squadra con questi interlocutori potremmo usare meglio i finanziamenti pubblici. Una squadra affiatata vince. Nel nostro caso, vuol dire portare sul mercato prodotti migliori da tutti i punti di vista, soprattutto quello della sostenibilità”.

“Le associazioni di categoria possono aiutare sia come ‘luogo’ per condividere le innovazioni – spiega il presidente dei giovani agricoltori dell’Agia-Cia, Stefano Francia – sia sul piano normativo, con il sostegno a reti di imprese e cooperative che permettono di condividere i dati e le conoscenze apprese. E poi c’è l’impegno a favorire soluzioni legislative, come appena accaduto con il credito d’imposta per l’innovazione nel settore agricolo previsto dall’ultima legge di Bilancio e proposto da Cia-Agricoltori Italiani”.


Fermento

AGRI UE Reportage Innovazione

Le aziende e la ricerca italiana partecipano a 309 dei 1.491 progetti censiti dal data base del Partenariato europeo per l’innovazione in agricoltura. Parliamo non solo di gruppi operativi, ma anche di progetti sostenuti dal programma Ue Orizzonte 2020 e iniziative di varia natura. Il triplo della Francia, quasi il doppio della Germania e più di Spagna e Paesi Bassi. I dati, spiegano dal network europeo, dipendono dalla tempestività, dalla volontà e dalla frequenza delle segnalazioni delle autorità nazionali e regionali. Non sono concepiti per fare classifiche, quanto per stimolare lo scambio di esperienze a livello europeo. Ma testimoniano un fermento sull’innovazione agricola in Italia che non ha precedenti, almeno quanto a partecipazione. Resta da vedere se il sistema Italia saprà valorizzare questa energia.

PER APPROFONDIRE: 
Il portale Innovarurale 
Il partenariato per l’innovazione europeo PEI-Agri
Veneto Agricoltura
Centro sperimentale di Po Tramontana
 
Interviste, montaggio e foto: Angelo Di Mambro, Emiliano Morbioli
Repertorio: Veneto Agricoltura