BRUXELLES - "Unica regola era mai dire la parola lavoro, non dovevamo mai descriverlo come un posto di lavoro. Abbiamo usato gli autisti come un'arma, li abbiamo usati per far leva contro governi e amministrazioni. Abbiamo promesso alla politica di creare ricchezza ma la realtà è che Uber non ha inventato un nuovo tipo di lavoratore ma solo nuovi per i datori di lavoro di scaricare la responsabilità". Lo ha detto Mark MacGann, l'ex lobbista di Uber oggi testimone chiave degli Uber Leaks, lo scandalo che ha fatto trapelare oltre 124.000 file aziendali al quotidiano britannico Guardian, esponendo le pratiche della Big Tech Usa.
"All'inizio trattavamo gli autisti da eroi, davamo loro telefoni bonus li aiutavamo a comprare le macchine con leasing agevolati. Dicevamo loro che erano parte della squadra, l'azienda poi è cresciuta rapidamente a dismisura e tutto è cambiato", ha spiegato MacGann all'audizione organizzata in vista della discussione del testo sui lavoratori delle piattaforme di cui l'eurodeputata del Pd, Elisabetta Gualmini è relatrice. "Quando hanno iniziato a protestare siamo entrati in Facebook e Whatsapp con false identità per monitorare le loro proteste. Abbiamo pagato investigatori privati per spiare i sindacati, nel frattempo pagavamo gli accademici per produrre statistiche manipolate su guadagni per dimostrare che tutti potevano diventare ricchi, il nostro potere di influenza è diventato sproporzionato", ha concluso MacGann.
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