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Non solo di “sviluppo regionale” è fatta la politica di coesione. Anche quello rurale è uno dei filoni lungo cui si articola la galassia dei fondi strutturali e di investimento europei. Migliorare la competitività del settore agricolo, garantire una gestione sostenibile delle risorse, promuovere azioni per il clima e raggiungere uno sviluppo equilibrato dei territori sono gli obiettivi principali del Feasr, Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr).
Per il settennato 2014-2020, il fondo vale oltre 151 miliardi di euro (cofinanziamenti nazionali compresi) e l’Italia ne è il primo beneficiario in Ue con 20,9 miliardi, circa il 28% della torta totale dei fondi strutturali. Nei prossimi anni, però, il Feasr potrebbe cambiare faccia: la Commissione Ue ha proposto di ridimensionarlo pesantemente per il prossimo settennato di bilancio, 2021-2027, con una sforbiciata del 27% (prezzi costanti 2018) rispetto alla sua dotazione attuale.
Come tutte le politiche di coesione – e a differenza di quanto accade con i pagamenti diretti della Politica agricola comune - anche il Feasr è gestito in maniera congiunta dalle istituzioni europee e da quelle degli Stati membri, che hanno il compito di elaborare i programmi di sviluppo rurale a seconda dei bisogni dei territori. Le attività finanziate vanno quindi dall’agricoltura in senso stretto all’installazione di reti a banda larga, per promuovere lo sviluppo dei territori meno urbanizzati. Almeno il 30% dei finanziamenti per ciascun programma di sviluppo rurale, però, deve essere destinato a misure relative all’ambiente e ai cambiamenti climatici.
I progetti finanziati vanno quindi dal sostegno ai giovani agricoltori nel bolognese alla riscoperta della biodiversità in Puglia, dai finanziamenti per aprire un agriturismo nelle Marche al biogas in Emilia-Romagna. Per avere un’idea più completa delle iniziative finanziate si può consultare il sito dello European network for rural development.
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L’avventura del Feasr all’interno del quadro della politica di coesione rischia di essere molto breve. Nel 2014 il fondo è stato inserito per la prima volta all’interno del ciclo delle risorse strutturali europee, ma per il 2021 la Commissione Ue ha proposto di fare un passo indietro e scorporarlo dagli altri fondi “classici” come quelli di sviluppo regionale (Fesr) e sociale (Fse). L’esecutivo vorrebbe infatti raggruppare sotto lo stesso capitolo i pilastri della Politica agricola comune (Pac), ma, sostengono i critici, tale mossa potrebbe snaturare la natura del Fondo, che è di garantire lo sviluppo dei territori meno urbanizzati. Il Feasr verrebbe quindi escluso dal nuovo regolamento ombrello (Common provision regulation) che stabilirà norme comuni ai sette fondi europei a gestione condivisa Bruxelles-Stato membro (in cui rientrano invece sia il Fesr che il Fse). Inoltre, i “Programmi di sviluppo rurale” dei vari Paesi Ue verrebbero sostituiti con i piani strategici della Pac, che includeranno sia i pagamenti diretti che le misure per le aree rurali.
In termini strettamente economici, la Commissione europea ha proposto per il post 2020 un taglio netto del 17% per lo sviluppo rurale (in prezzi correnti), che si traduce in una sforbiciata da -27% in prezzi 2018. Inoltre, l’esecutivo ha chiesto di abbinare al taglio anche un aumento di circa 10 punti percentuali del cofinanziamento nazionale da parte degli Stati membri, per aumentare la loro consapevolezza e coinvolgimento verso le politiche di sviluppo.
Inutile sottolineare quanto la proposta avanzata dalla commissione Juncker nel maggio 2018 abbia sollevato molte polemiche e sarà oggetto di duri negoziati da qui al primo gennaio 2021, quando dovranno entrare in vigore il nuovo bilancio e i nuovi regolamenti.
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