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Non solo sospensione del Patto di stabilità e allentamento delle regole sugli aiuti di Stato. La Commissione Ue mette in campo anche la politica di coesione e il Fondo europeo di solidarietà per combattere l’emergenza coronavirus.
Il meccanismo messo a punto dall’esecutivo comunitario si chiama Iniziativa d'investimento in risposta al coronavirus (Crii) e potrebbe portare a reindirizzare fino a 37 miliardi di euro verso azioni legate alla crisi che stiamo attraversando. Come hanno spiegato i commissari Ue responsabili per la coesione e l'occupazione, Elisa Ferreira e Nicolas Schmit, in una lettera inviata a tutti i governi dell’Unione, l’obiettivo è permettere di riprogrammare risorse della politica di coesione già assegnate verso l'acquisto di materiale medico, medicine, test, respiratori, mascherine, ma anche l'assunzione di nuovo personale e misure di supporto alle pmi colpite dalla crisi. Insomma, verso tutto ciò che è necessario al sistema sanitario e a quello della piccola imprenditoria per fronteggiare l'emergenza coronavirus.
La Crii si basa su due pilastri: un’iniezione di liquidità nelle casse dei governi da 8 miliardi di euro, e la riprogrammazione dei fondi europei già assegnati verso la risposta alla crisi.
La liquidità viene ricavata grazie alla decisione della Commissione di non chiedere ai Paesi il rimborso dei prefinanziamenti versati a inizio 2019. Ogni anno, infatti, l’esecutivo comunitario versa agli Stati un anticipo sulle spese che dovranno sostenere nel quadro della politica di coesione. La quota non spesa di tale anticipo viene richiesta indietro ai governi all’inizio dell’anno successivo. Un normale flusso di cassa che la Commissione ha voluto sfruttare per fornire un’immediata iniezione di liquidità nei bilanci pubblici: invece di dover restituire a Bruxelles la quota non spesa dei prefinanziamenti 2019, oppure stornare tale somma dagli anticipi sul 2020, quest’anno i Paesi potranno tenere in tasca le risorse non spese nello scorso anno.
Per l’Italia questo significa mantenere in cassa circa 850 milioni di euro di prefinanziamento sul 2019, e incassarne altri 952 milioni per il 2020 che vengono versati in due tranche fra marzo e aprile.
È bene ribadire che non si tratta di risorse fresche, ma di movimenti sul flusso di cassa che permettono all’Italia e agli altri Paesi Ue di avere maggiore liquidità a disposizione in un momento di crisi come questo. Allo stesso modo, l’iniziativa non ha per ora alcuna influenza sugli obiettivi di spesa che i Paesi devono rispettare a fine anno.
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Una volta definito il funzionamento del pilastro legato ai prefinanziamenti, gli esperti della Commissione Ue hanno provato a quantificare quante risorse provenienti dai fondi strutturali potrebbero essere reindirizzate verso la risposta alla crisi del coronavirus. Un primo calcolo aveva portato a un totale di 25 miliardi (da qui l’annuncio fatto il 10 marzo dalla presidente Ursula von der Leyen), poi corretto al rialzo fino a 37 miliardi. A comporre tale cifra sono quindi gli 8 miliardi di liquidità ricavati sui prefinanziamenti e 29 miliardi che i Paesi potrebbero riprogrammare a partire dai fondi già assegnati per il periodo 2014-20. Tale cifra include anche la quota di cofinanziamento nazionale, non si tratta quindi solamente di risorse puramente “europee”. Il meccanismo porterebbe permettere all’Italia d’indirizzare in totale fino a 11 miliardi di euro verso la gestione della crisi provocata dalla pandemia.
Ancora una volta, non si tratta di risorse fresche ma di un reindirizzamento delle risorse esistenti e già stanziate verso la priorità assoluta di questi mesi: l’emergenza coronavirus. La Commissione ha preferito procedere in questo modo ritenendo una modifica delle regole esistenti più facile e rapida rispetto alla creazione di nuovi strumenti finanziari.
Il fatto di muoversi nel quadro delle normative attuali, però, implica anche che le risorse siano indirizzate seguendo le regole della politica di coesione (più soldi alle regioni meno sviluppate, che in Italia sono quelle del Sud), e non in base a un’analisi dei territori più colpiti.
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L’altra proposta della Commissione Ue legata all’uso della politica di coesione per affrontare l’emergenza riguarda il Fondo europeo di solidarietà (Fsue). Il suo intervento può essere richiesto dagli Stati colpiti da catastrofi naturali, ma l’esecutivo vorrebbe permetterne l’attivazione anche in risposta alle crisi sanitarie come quella di Covid-19.
Creato come risposta alle alluvioni che hanno colpito l’Europa centrale nell’estate 2002, il fondo ha permesso di stanziare finora oltre 5,535 miliardi di euro per quasi 90 interventi in 24 Paesi europei. Serbia compresa, visto che al Fsue possono accedere anche i Paesi candidati all’ingresso nell’Unione, non solo quelli che ne fanno già parte.
Dal terremoto in Molise del 2002 che causò il crollo della scuola elementare di San Giuliano, in cui morirono 27 bambini e una maestra, fino alla tempesta che un anno fa ha causato una ‘strage di alberi’ nel Triveneto: negli ultimi 17 anni l’Italia ha ricevuto quasi 2,8 miliardi, cioè oltre la metà del totale delle risorse stanziate finora dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea.
Per il 2020 sono ancora disponibili 800 milioni di euro.
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