MILANO, 5 APRILE 2024 - Un "sistema" che consente di "produrre volumi di decine di migliaia di pezzi, a prezzi totalmente sotto soglia da eliminare la concorrenza", sfruttando alla base della filiera manodopera irregolare, in nero e con paghe da fame, che mangia e dorme in "condizioni degradanti" in capannoni fatiscenti. Uno "schema" diffuso tra "le case di moda" su cui ha iniziato ad indagare la Procura di Milano, tanto che oggi, dopo un primo risultato dei mesi scorsi (il commissariamento della Alviero Martini Spa), è arrivata ad ottenere l'amministrazione giudiziaria per una delle società del gruppo Armani.
La Giorgio Armani operations Spa - società con oltre 1.200 dipendenti che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori per il colosso dell'alta moda - non ha "mai effettivamente controllato la catena produttiva" scrive la sezione misure di prevenzione del Tribunale, tanto che le società appaltatrici per la produzione di borse e cinture avrebbero subappaltato ad opifici abusivi di titolari cinesi. Con questo "meccanismo di sfruttamento lavorativo" agevolato "colposamente" dalla Spa perché non contrastato, secondo gli atti dell'inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro e dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, un laboratorio clandestino poteva vendere all'intermediario-fornitore una borsa finita a poco più di 90 euro, che poi arrivava in negozio col marchio Armani a 1800 euro.
La GA operations, è la replica in una nota, "ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura" e "collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda". Nel frattempo, il presidente del Tribunale Fabio Roia fa sapere che il commissariamento avverrà "senza impossessamento degli organi amministrativi, consentendo quindi alla società la piena operatività sul piano imprenditoriale". E garantirà "una affidabilità di mercato addirittura rafforzata dalla presenza del Tribunale" sotto "il primario controllo dell'amministratore giudiziario Piero Antonio Capitini", che affiancherà il management nella bonifica dei rapporti coi fornitori. La società del gruppo Armani non è indagata, mentre sono accusati di caporalato i quattro titolari "di aziende di diritto o di fatto di origine cinese". La produzione in quegli opifici nelle province di Milano e Bergamo, come emerge da testimonianze di lavoratori e altri accertamenti come il recupero di un "registro del nero", era "attiva per oltre 14 ore al giorno, anche festivi", con lavoratori "sottoposti a ritmi di lavoro massacranti", con pericoli "per la sicurezza" e paghe "anche di 2-3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto minimo etico", senza ovviamente ferie, malattie, contributi o alcuna tutela.
Agli atti pure il verbale di un addetto al controllo qualità per la GA operations, che andava "mensilmente", si legge, in uno dei capannoni-dormitorio. E ha messo a verbale che Manifatture Lombarde srl, società appaltatrice dei lavori Armani, "non ha un reparto produzione" e non potendo "evadere le commesse" esternalizzava "le lavorazioni" ai "sub-committenti". La Spa, scrivono i giudici, ha "effettuato" un "unico audit" sulla Manifatture Lombarde e "non ha accertato" che la "società appaltatrice non ha un reparto produzione". Per il Tribunale si tratta di un sistema "generalizzato e consolidato" alla GA operations, che "si ripete, quantomeno dal 2017" e i pm, che hanno già indagato su importanti aziende nei settori della logistica e della vigilanza, parlano di "normalizzazione della devianza". Tra l'altro, uno degli imprenditori cinesi ha stilato davanti agli investigatori un elenco di altri grandi nomi della moda per cui il suo opificio ha prodotto cinture in "sub appalto". Roia, intanto, suggerisce l'avvio di "un tavolo" con la Prefettura "che consenta in via ulteriormente preventiva di cogliere le criticità operative degli imprenditori" della moda, "settore di mercato di particolare rilevanza per il sistema economico nazionale".
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