Non commettono alcuna discriminazione i fedeli che decidono di non frequentare più chi lascia la comunità religiosa. Questo è il principio espresso dal Tribunale di Roma nella sentenza del 23 maggio 2021 in riferimento alla decisione dei fedeli della comunità di Testimoni di Geova di limitare o non avere più contatti con un ex membro.
Nella sentenza, ora resa pubblica, si legge: "Le condotte oggetto di censura, siccome poste in essere da soggetti capaci di intendere e volere […] non possono considerarsi illegittime né antigiuridiche, non essendo violative di alcuna norma di legge, né essendo previsto da alcuna disposizione normativa l'obbligo di conformarsi ad una condotta differente rispetto a quella stigmatizzata dall'attore".
Il signor G.L., ex testimone di Geova, aveva intentato una causa contro l'ente giuridico della confessione lamentando che la scelta degli ex compagni di fede di limitare i contatti sociali con lui da quando aveva lasciato la religione fosse discriminatoria e lesiva della sua persona e gli avrebbe arrecato anche un danno di natura economica. Per questi motivi chiedeva un risarcimento alla confessione religiosa.
Il Tribunale ha ritenuto invece che le condotte dei fedeli fossero del tutto legittime, osservando che la decisione dei singoli fedeli di avere o non avere rapporti sociali con un individuo, anche motivata da un credo diverso, non può essere considerata lesiva dell'identità personale dell'individuo o dei suoi diritti fondamentali. Pertanto né la confessione né i suoi organi locali possono essere ritenuti responsabili di indurre i fedeli al cosiddetto "ostracismo" come invece sostenuto dall'ex fedele. I giudici hanno inoltre riconosciuto alla confessione religiosa il diritto di informare la propria comunità di fedeli se un membro cessa di farne parte.
La decisione del Tribunale di Roma segue l'indirizzo giurisprudenziale già indicato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 9561/2017, relativa a un caso simile che fu seguito dal prof. Pietro Rescigno insieme al prof. Andrea Barenghi e al compianto prof. Tucci.
Rescigno e Barenghi commentano la sentenza: "La decisione del Tribunale di Roma conferma la ricostruzione offerta dalla Corte di Cassazione (sentenza 9561/2017) in merito ai problemi della dissociazione e della c.d. induzione all'ostracismo (nelle ipotesi di cessazione del vincolo), con corretto inquadramento nel sistema. In definitiva, entrambe le decisioni si collocano nel quadro della tutela dei diritti fondamentali dell'individuo, come singolo e nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, e della libertà associativa e religiosa. Si tratta di princìpi rivolti ad assicurare autonomia anche ai corpi intermedi rispetto alle ingerenze esterne e ad affermare il pluralismo sociale (nel caso particolare, religioso) che costituisce principio basilare dell'ordinamento e garanzia di libertà".
La sentenza di Roma offre dunque una risposta giuridica alle accuse talvolta sollevate da ex fedeli e gruppi "anti-sette" per destare allarme verso il fenomeno del cosiddetto "ostracismo". La scelta di come trascorrere il proprio tempo e con quali persone è dunque un diritto legittimo di ciascun individuo e non può essere considerata discriminatoria.