(di Fausto Gasparroni)
(ANSA) - CITTÀ DEL VATICANO, 03 LUG - "L'iniziativa
giudiziaria è direttamente collegabile alle indicazioni e alle
riforme di Sua Santità Papa Francesco, nell'opera di trasparenza
e risanamento delle finanze vaticane; opera che, secondo
l'ipotesi accusatoria, è stata contrastata da attività
speculative illecite e pregiudizievoli sul piano reputazionale
nei termini indicati nella richiesta di citazione a giudizio".
Il comunicato della Sala stampa lo dice chiaramente, e indica
una duplice prospettiva: la maxi-inchiesta, durata due anni,
sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato - che oggi ha
portato al rinvio a giudizio di 10 persone - è da una parte
proprio il frutto delle riforme per la trasparenza finanziaria
portate avanti con decisione da papa Francesco, tra non poche
resistenze, visto che furono due denunce interne (una dello Ior
e una dell'Ufficio del Revisore generale) a farla partire
nell'estate del 2019 e a far così scoppiare il "bubbone".
Dall'altro, essa stessa mostra, nonostante i proclami e le
asserite ottime intenzioni nella direzione del risanamento
rispetto ai vecchi scandali, quanto fossero radicati e
"incistati" in Vaticano, e in particolare nel principale
dicastero quale è e resta la Segreteria di Stato, comportamenti
che nulla hanno a che fare con la trasparenza, diretti invece a
depredare le finanze vaticane tramite le complicità tra
operatori esterni e funzionari delle sacre stanze.
Tutto questo, naturalmente, se saranno comprovate in sede di
processo, a partire dal 27 luglio prossimo, le risultanze
accusatorie di un'indagine di estrema complessità, alimentata da
un lavoro certosino e ad ampio raggio degli inquirenti
d'Oltretevere, tra sequestri di fondi e materiali documentali,
rogatorie, ispezioni, interrogatori. Dal Vaticano si parla anche
di "stretta e proficua collaborazione" nelle attività
istruttorie con la Procura di Roma ed il Nucleo di Polizia
Economico-Finanziaria - Gicef della Guardia di Finanza di Roma.
"Apprezzabile" anche la cooperazione con le Procure di Milano,
Bari, Trento, Cagliari e Sassari e le rispettive sezioni di
polizia giudiziaria.
Tra gli elementi che più sconcertano, il presunto uso
'disinvolto' e 'allegro' dei fondi caritativi, con le donazione
dei fedeli di tutto il mondo tra cui quelli di diretta
responsabilità del Papa. Le attività istruttorie, svolte anche
con commissioni rogatoriali in numerosi altri paesi stranieri
(Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Jersey, Lussemburgo
Slovenia, Svizzera), "hanno consentito di portare alla luce una
vasta rete di relazioni con operatori dei mercati finanziari che
hanno generato consistenti perdite per le finanze vaticane,
avendo attinto anche alle risorse, destinate alle opere di
carità personale del Santo Padre", spiega ancora la Santa Sede.
Secondo i pm d'Oltretevere, come essi scrivono nel fascicolo
d'accusa, il quadro delle risultanze investigative è "aggravato
dalla constatazione che la più gran parte delle attività di
investimento effettuate nel corso degli anni da soggetti di
diversa formazione, status e responsabilità nella Segreteria di
Stato sia avvenuto drenando ingenti quantità di somme raccolte
nell'Obolo di San Pietro, (...) che nel corso dei secoli ha
attinto ai più intimi impulsi della comunità ecclesiale,
sollecita nell'assolvimento del precetto della carità ed
assistenza al prossimo".
Sempre riguardo all'utilizzo dei fondi caritativi,
richiamandosi anche a una delle due denunce che hanno fatto
partire l'inchiesta - quella dell'Ufficio del Revisore generale
- i magistrati vaticani rilevano "come la Segreteria di Stato
abbia impiegato fondi ricevuti per finalità benefiche (Fondo
Obolo e Fondi Intitolati), per loro natura insuscettibili di
essere utilizzati per scopi speculativi, per svolgere operazioni
ad elevatissimo rischio finanziario e, comunque, con finalità
certamente incompatibili con quelle degli originari donanti".
(ANSA).