"Nel pieno del processo sulla
Trattativa Totò Riina è inferocito. Si lamenta di Matteo Messina
Denaro, che definisce un 'ragazzino che si è messo a prendere
soldi, si interessa di sé stesso e non delle questioni. 'Se ci
fosse suo padre, che era un bravo cristiano che mi dava a suo
figlio per farne quello che dovevo fare...'". A ricostruire il
rapporto tra il capo dei capi di Cosa nostra e il superlatitante
è il pm Gabriele Paci nella requisitoria per il processo, a
Caltanissetta, a Matteo Messina Denaro,
accusato di essere uno dei mandanti degli attentati di Capaci e
Via D'Amelio.
"Brusca fornisce una indicazione fondamentale - ha
continuato il pm Paci - siamo alla fine del '92. Riina gli fa
una confidenza e gli dice 'guarda che se mi succede qualcosa i
picciotti, Giuseppe Graviano e Matteo, sanno tutto'". Il pm
Gabriele Paci durante la requisitoria ha più volte sottolineato
come Riina parlasse di Messina Denaro come "la luce dei suoi
occhi". "Il padre lo aveva messo nelle sue mani - ha detto il pm
Paci - 'E io l'ho fatto buono', diceva Riina, ricordando questo
mafioso che gli era cresciuto sulle ginocchia".
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