Sopra la lavagna che indica i vari tipi di pane e pizza in vendita, Enrico ha fatto mettere una scritta incisa nel legno: "Mi hanno sepolto ma quello che loro non sanno è che io sono un seme". Il suo forno è il primo di Amatrice, lo aprì il padre nel 1955. "E' così, io ed altri siamo rimasti perché vogliamo ripartire da qui e non lasciare queste terre. Ma è dura, non guardare adesso che è agosto, vieni a novembre, quando dovremmo fare i conti con il secondo inverno in queste condizioni. E vediamo l'anno prossimo chi sarà rimasto".
Enrico Marini non molla, ma quando pensa al futuro di Amatrice scuote la testa. La sua è in fondo una storia positiva: con Fabiana sono stati i primi amatriciani a sposarsi dopo il terremoto che ha cancellato il paese, lo hanno fatto il 13 maggio del 2017 ad Ascoli. Hanno scelto di vivere insieme senza lasciare il loro paese e ricominciare nonostante i lutti in famiglia, per entrambi. E due giorni dopo il primo anniversario di quella maledetta scossa è nata la prima figlia, Benedetta.
Oggi, nel nuovo negozio aperto all'interno di uno dei due centri commerciali sorti alle porte del paese, non lascia un attimo il laboratorio alle spalle del bancone. L'odore del pane invade ogni cosa. "La ripresa è lenta, solo alcune aziende hanno cominciato ad avere un piccolo ritorno - dice prendendosi una pausa - il problema vero è che manca il 'giro' prodotto dalle seconde case, che qui erano fondamentali. E manca la ricettività per il turismo, ora la gente viene, fa una passeggiata, mangia qualcosa e riparte. E' solo turismo mordi e fuggi. Serve un progetto serio di marketing territoriale e un investimento pesante per un vero rilancio economico. Ma bisogna partire dalle seconde case, senza quelle è tutto inutile".
Enrico da Amatrice se ne era andato, dopo esser cresciuto tra i sacchi di farina. Era arrivato a Roma, poi nel 2011 il richiamo delle origini lo ha riportato a casa. Nel 2013 ha rilevato l'attività che il padre nel frattempo aveva dato in gestione ed è partito con idee e progetti. Non c'è amatriciano che non abbia mangiato la sua pizza bianca con il rosmarino. Poi è arrivato il terremoto, che quel 24 agosto si è portato via non solo il negozio. "E' sparito l'intero tessuto sociale del paese - dice Enrico - è andato completamente distrutto, si è disgregata ogni cosa. Oggi manca il concetto stesso di paese. Sì ci sono le casette, questi centri commerciali, i ristoranti, ma non c'è la vita sociale".
Enrico non accusa le autorità, sa che il percorso è lungo. Ma il suo timore è che se non si fa presto non ci sarà più nulla da ricostruire. "La politica deve ascoltare la voce del popolo, non fare investimenti per pubblicità. Vanno snellite ulteriormente le procedure burocratiche, bisogna andare rapidi e veloci. Altrimenti..." Altrimenti? "Noi la buona volontà ce l'abbiamo messa e ce la stiamo mettendo, io come gli altri. Però - conclude il fornaio - alla lunga subentra la stanchezza. Io spero che si ricostruisca, spero di riuscire a vedere di nuovo Amatrice, anche tra 20 anni. Ma se non si inizia a vedere la ricostruzione non si riparte".