La strada per un accordo sul futuro del programma nucleare iraniano è pieno di ostacoli per la Casa Bianca. L'intransigenza di Teheran non è certo l'unico.
Già a partire da Washington, con il Congresso, il percorso è molto accidentato. Ma fuori dai confini nazionali è forse anche peggio, con diversi Paesi alleati storici degli Usa che stanno facendo di tutto per mettersi di traverso e far fallire i negoziati. Un po' col bastone e un po' con la carota, l'amministrazione Obama sta cercando di far fronte a tutti. A cominciare proprio da Washington, dove i repubblicani accusano Obama di pensare solo all'eredità della sua presidenza a discapito della sicurezza nazionale, e uno schieramento bipartisan ha elaborato due disegni di legge per poter avere la parola finale. Uno darebbe al Congresso il potere di approvare, emendare o respingere l'eventuale accordo; l'altro imporrebbe immediate e stringenti sanzioni all'Iran in caso di fallimento dei colloqui. Obama ha già minacciato il veto, ma ha lasciato trapelare la disponibilità a sostenere una terza via, che richiederebbe all'amministrazione di certificare che l'Iran stia rispettando le intese e in caso contrario imporre sanzioni.
Ma sugli orientamenti del Congresso pesa anche l'influenza esercita da Israele. Non a caso il premier Netanyahu vi ha pronunciato di persona un discorso contro l'accordo, facendo infuriare Obama. Da allora non si è poi di certo arreso. In questi giorni ha spedito il suo ministro dell'Intelligence Yuval Steinitz in Francia, considerato il più rigido tra i Paesi del gruppo dei '5+1', dopo che ha svolto un ruolo chiave per rendere più stringente l'intesa preliminare con l'Iran che nel 2013 ha dato il via al negoziato. In linea di massima, l'Occidente e gli altri Paesi del 5+1 (Gran Bretagna, Cina, Russia e Germania) sembrano però voler trovare un accordo, anche per motivi finanziari. "Con la cancellazione o la riduzione delle sanzioni contro l'Iran, i nostri affari, ma anche quelli tedeschi e britannici, correranno alla velocità più alta possibile", ha sintetizzato ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. L'Iran dispone peraltro della quarta riserva petrolifera al mondo e un accordo potrebbe portare un fiume di greggio iraniano sul mercato, dopo che dallo scorso giugno i prezzi sono già calati di oltre il 50 per cento.
E questo è anche uno dei fattori che disturba in particolare l'Arabia Saudita, che già vede come il fumo agli occhi la crescente influenza dell'Iran nella regione, che ormai spazia dall'Iraq alla Siria, dal Libano fino allo Yemen; dove Riad ha deciso di scendere in campo militarmente e alla guida di una forza araba contro i ribelli sciiti sostenuti da Teheran.
L'influenza iraniana disturba notevolmente anche la Turchia, come ha chiaramente detto il suo presidente Erdogan, sostenendo che si tratta di una cosa "che non può essere tollerata". E su questo la Casa Bianca sembra d'accordo, visto che ha espresso sostegno all'azione saudita, anche se poi di fatto è 'alleata' dell'Iran sul fronte iracheno nella guerra contro i jihadisti dello Stato islamico.