Sarà la scuola il primo terreno di confronto nel Pd al Senato. I ventidue senatori della minoranza dem che a gennaio non hanno votato l'Italicum, aprendo il fronte del dissenso interno al partito, annunciano battaglia.
Proveranno a far leva sui numeri ristretti della maggioranza per cambiare il testo che sarà approvato la settimana prossima alla Camera.
"Siamo determinanti sia in commissione che in Aula", affermano. "Combatteremo emendamento su emendamento". A Montecitorio la sinistra Pd ha presentato una serie di emendamenti. Non tantissimi - una decina - ma ben mirati. Su tre punti in particolare: i precari, con la proposta di un piano pluriennale di assunzioni; i 'superpoteri' del preside da ridurre; il sistema di finanziamenti privati e di perequazione delle risorse tra le scuole.
Su questi temi sarà fatta una battaglia "nel merito", anche in dissenso dalla linea del partito. Ma con la consapevolezza che a Montecitorio, dove i numeri del governo sono amplissimi, difficilmente si riuscirà ad incidere. E se c'è chi, come Stefano Fassina, in dissenso sulla riforma della scuola potrebbe annunciare il suo addio al Pd, la battaglia della minoranza è già proiettata sul passaggio a Palazzo Madama, dove proveranno a incidere i 22 senatori che sostennero il documento di Miguel Gotor e non votarono l'Italicum. "C'è da parte nostra grande preoccupazione e attenzione: presenteremo di sicuro emendamenti", annuncia Federico Fornaro. E nei prossimi giorni, spiegano i bersaniani a Palazzo Madama, l'area del dissenso inizierà a farsi sentire.
Ma già Corradino Mineo annuncia una "battaglia" per inserire subito in un decreto l'assunzione dei centomila precari e rallentare la riforma, per "riscriverne il testo". E' singolare la parabola di Mineo: fu sostituito dalla commissione Affari costituzionali perché si rifiutava di votare le riforme e fu spostato in commissione Cultura. Ora in commissione Cultura, con il civatiano Walter Tocci e il bersaniano Claudio Martini, si ritrova a essere di nuovo determinante per il governo sulla scuola (la maggioranza ha 13 voti, contro 12 dell'opposizione). E non esclude niente: "Per ora di sostituirmi non si parla, ma questa volta il tema è percepito in modo diverso dall'opinione pubblica...". Se il governo alla fine decidesse di mettere la fiducia ("Non è all'ordine del giorno", ha detto però Renzi) quasi tutti 'dissidenti' della minoranza la voterebbero: l'intento non è far cadere il governo, assicurano, ma far passare modifiche sostanziali. Di sicuro, però, la scuola sarà un banco di prova, in vista delle prossime battaglie sulle riforme.
A quelle battaglie già guarda Pippo Civati, che lancia due quesiti referendari contro capilista bloccati, multicandidature e premio di maggioranza dell'Italicum. "Li metto a disposizione dei partiti e di quanti si sono opposti alla legge", è il suo appello. Ma per il momento il M5S si tira fuori. Quanto alla minoranza Pd, il tema del referendum viene considerato ancora prematuro. Prima si dovrà affrontare il ddl costituzionale al Senato. E allora potrebbe riemergere una spaccatura interna alla stessa minoranza, tra le due anime di Area riformista. In giornata i 50 deputati che con "responsabilità" hanno votato la riforma alla Camera si sono visti, la prossima settimana dovrebbe esserci un confronto con gli 'speranziani'. Ma le posizioni restano distanti: i 50, tra cui Damiano e Martina, non sono disposti a salire sulle barricate contro il governo, ma vogliono portare avanti un'opposizione costruttiva "e che non strumentalizzi le battaglie a fini interni".