In questo anno e mezzo di chiusure, Dad e tentativi più o meno riusciti di dare continuità all’istruzione nel nostro Paese, è possibile che qualcuno si sia perso per strada. In una situazione già non rosea. Per accorgersene basta guardare i dati dell’ultimo rapporto Eurostat sull’abbandono scolastico, in cui l’Italia - nonostante un netto miglioramento rispetto a 10 anni fa - è comunque ancora lontana dal target, fissato a livello europeo, del 9% da raggiungere entro il 2030. Pur essendo passati da un tasso di abbandono pari al 18,6% (su una media UE del 13,8%) nel 2010 a quello del 13,1% del 2020, infatti, la percentuale è comunque ancora molto al di sopra del valore minimo di riferimento (che si attesta al 9,9%).
Per far intendere meglio la situazione, il nostro Paese è tra quelli dove con più frequenza i giovani tra i 18 e i 24 anni risultano fermi al primo ciclo di istruzione. Hanno abbandonato il sistema di istruzione senza conseguire, quindi, il diploma di scuola superiore o titolo equivalente. Peggio di noi solo Islanda (14,8%), Romania (15,6%), Spagna (16%), Malta (16,7%), Turchia (26,7%). Distanti anni luce dalle più virtuose Croazia (il cui dato - 2,2% - è però parziale), Grecia (3,8%), Slovenia (4,1%) e Irlanda (5%).
Se consideriamo solo l’ambito dell’Europa a 27, siamo al quarto posto di questa poco onorevole classifica. Una medaglia di legno che comunque rappresenta un traguardo raggiunto: 10 anni fa le istituzioni europee si erano date l’obiettivo collettivo di ridurre la dispersione scolastica al 10% entro il 2020, assegnando all’Italia un meno sfidante target del 16%. Insomma missione compiuta, ma non c’è poi così tanto da festeggiare, come sottolinea l’analisi effettuata dal portale Skuola.net.
Coloro che hanno abbandonato gli studi così presto, inoltre, non sempre lo hanno fatto al fine di svolgere un’attività lavorativa. In Italia, tra quel 13,1% che non ha completato il ciclo secondario, solo circa un terzo risulta occupato (4,3%). E se fra i restanti (8,7%) la gran parte ha in mente tuttavia di trovare un lavoro (6,4%), non sono pochi quelli che non hanno neanche intenzione di cercarlo (2,4%); sono i cosiddetti NEET (Neither in Employment or in Education or Training, persone non impegnate né in attività di studio né lavorative)
Ma questi, come detto, sono dati del 2020 (riferiti all’immediato passato). Nel mezzo, per arrivare fino ad oggi, è passata una pandemia. Con tutte le difficoltà che abbiamo conosciuto bene e che hanno colpito la scuola ma anche, nel privato, una quota ingente di famiglie. Impossibile non contare i danni. Anche perché un indizio di ciò che può essere accaduto in questi ultimi 12 mesi, in termini di dispersione scolastica, l’hanno dato gli ultimi dati INVALSI (2021) sugli esiti della prova di grado 13. Svolta, quindi, dai ragazzi di quinta superiore al termine del percorso scolastico.
Dai numeri pubblicati dall’istituto di ricerca non è certo possibile risalire a quanti ragazzi, in questo difficile periodo, abbiano deciso di lasciare la scuola. Ma è possibile stabilire a quanto ammonta la cosiddetta “dispersione implicita”: quel valore che descrive quanti studenti ormai diplomandi, pur essendo regolarmente iscritti e arrivati alla fine del percorso d’istruzione, posseggono in realtà solamente una minima parte delle competenze che avrebbero dovuto acquisire durante le scuole superiori. Come, insomma, se si fossero fermati in terza media o in seconda superiore.
Ebbene, il bilancio è drammatico: se nel 2019 la dispersione implicita si fermava al 7% (valore, comunque, alto) nel 2021 si è raggiunta la vetta del 9,5%. Con percentuali che, in alcune regioni del Meridione, hanno superato ampiamente le doppia cifra (Calabria 22,4%, Campania 20,1%, Sicilia 16,5%, Puglia 16,2%, Sardegna 15,2%, Basilicata 10,8%, Abruzzo 10,2%). Vale a dire che, ad esempio, in Calabria 1 studente su 5 giunto alle soglie del diploma troverà tutte quelle difficoltà di inserimento che avrebbe un qualsiasi cittadino in possesso della licenza di terza media. Con l’unica differenza di avere in tasca il “pezzo di carta” di rango più alto.
Se questa è la situazione a scuola dopo un anno e mezzo di Dad, probabilmente non è consigliabile sperare in un miglioramento per quanto riguarda le “perdite” di tutti quelli che se ne sono allontanati realmente. Per adesso è solo un sospetto ma, forse, presto le nuove indagini Eurostat ce ne daranno conferma: sono i giovani ad aver pagato di più il peso sociale di questa pandemia.
“La situazione sta diventando sempre più drammatica ed è sotto gli occhi di tutti - evidenzia Daniele Grassucci, direttore e co-fondatore di Skuola.net - anche perché accumulando di anno in anno giovani che non conseguono il diploma o che portano a casa solo “il pezzo di carta” lasciando a scuola le competenze, è inevitabile che crescano i cosiddetti NEET: ragazzi di età compresa tra i 20 ed i 34 anni che non studiano e non lavorano. Lì sì siamo i primi in assoluto: sono il 29,4% della popolazione totale in quella fascia d’età. Quasi il doppio rispetto alla media europea del 17,6%. Tradotto in numeri assoluti, vuol dire oltre 2 milioni di persone. Tante quante quelle che riempiono un intero ciclo scolastico. Per loro va prevista una strategia di recupero praticamente porta a porta, pena l’abbonamento a vita alle misure di sostegno al reddito oppure a lavori saltuari o in nero”.