Diciotto avvocati, quindici dei quali hanno preso la parola, e questo solo per il primo degli otto quesiti. E' un'udienza fiume quella che si svolge a Palazzo della Consulta, dove la Corte Costituzionale è chiamata a valutare l'ammissibilità o meno dei referendum. Secondo il calendario dei lavori, si è cominciato alle 9.30 dai quesiti sull'eutanasia legale e la depenalizzazione della coltivazione della cannabis, per poi passare ai referendum sulla giustizia.
Dal deposito dei quesiti all'indizione, quello che porta gli elettori ad esprimere la volontà popolare è uno dei riti della Repubblica, ed è scandito da varie tappe. La prima fase si svolge davanti all’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Cassazione, che compie una serie di operazioni fondamentali, come la verifica dell'autenticità delle firme dei richiedenti. Dopo di che inizia la fase procedimentale dinanzi alla Corte Costituzionale.
Assieme agli avvocati alla camera di consiglio partecipata, cioè aperta alle parti, le porte dell'udienza sono state aperte anche ai rappresentanti dei Comitati promotori degli otto quesiti, come ulteriore segno dell'impegno assunto dal presidente della Consulta Giuliano Amato di "consentire, il più possibile, il voto popolare".
Dopo la relazione del giudice relatore, prendono la parola gli avvocati per esporre le proprie ragioni. La Consulta deciderà poi con una sentenza, dichiarando ammissibile o inammissibile la richiesta di referendum.
Cosa succede se i quindici giudici non sono d'accordo? La Corte è fondamentalmente orientata alla ricerca, quando è possibile, di una convergenza, se non unanime, più larga possibile. E' il presidente che indice le votazioni, stabilendo anche la chiusura della discussione.