Aspettare un bambino a Viterbo o a Tropea, o ricevere una diagnosi di tumore a Campobasso piuttosto che ad Alessandria può fare la differenza non nella qualità della vita ma nella sopravvivenza o meno.
A Viterbo, una neomamma vedrà che entro 72 ore dal parto, sarà fatto un prelievo di poche gocce di sangue dal tallone del suo bambino, grazie al quale si effettua test per più di 40 malattie metaboliche e per la SMA, l’atrofia muscolare spinale, malattia fatale ma che con un trattamento precoce può rallentare o persino fermarsi.
Al neonato della mamma di Tropea verrà fatto lo stesso prelievo di sangue ma non sarà fatto il test per la SMA, perché nella sua Regione non è previsto nel cosiddetto screening neonatale. Entrambi sono neonati italiani ma non è assicurato ad entrambi lo stesso diritto alla salute, proprio quello previsto dall’articolo 32 della Costituzione.
Eppure nel lontano 1978, nella legge che istituiva il servizio sanitario nazionale era scritto che tutti i cittadini devono accedere alle prestazioni sanitarie e nello stesso anno lo Stato inventava i Lea, i livelli essenziali – attenzione a questa parola – di assistenza che devono essere garantiti in tutta Italia. Ma a 45 anni di distanza ancora non avviene.
Su disuguaglianze e ritardi si è fatta una riflessione con il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta che ha realizzato più di un Rapporto per capire dove le cose funzionano e dove funzionano meno in Italia e con Annalisa Mandorino segretario generale di Cittadinanzattiva organizzazione che da anni segue l’iter tortuoso dell’applicazione dei Lea in Italia.
.