Il "fallimento di un intero sistema": questo è stata la valanga che il 18 gennaio del 2017 si è abbattuta sull'hotel di Rigopiano, provocando 29 morti. Un fallimento che ha generato una sofferenza così complessa che la pm Anna Benigni ne parlò a novembre in aula durante la requisitoria. Sostenendo che, per la procura, proprio "il dolore che tutti hanno provato di fronte a questa tragedia è stato il motore di questo ufficio"; un dolore al quale, ha aggiunto, "vogliamo dare una risposta".
L'accusa non è stata affatto tenera. A processo 29 imputati, tra i quali l'ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, l'ex presidente della Provincia Antonio Di Marco e il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, oltre alla società allora proprietaria dell'hotel. Secondo l'accusa sono chiare le responsabilità dei due principali enti coinvolti, il Comune di Farindola e la Provincia di Pescara.
Il Comune - è la ricostruzione degli inquirenti - non attivò la Commissione valanghe e non mise in pratica il Piano emergenze e gli strumenti urbanistici preventivi, come la realizzazione delle barriere protettive antivalanghe. Ed inoltre, avrebbe dovuto attivarsi per sgomberare l'hotel subito dopo l'ordinanza di chiusura delle scuole, emessa il giorno prima della valanga. Ed invece il sindaco Lacchetta accompagnò gli ospiti nel resort proprio la sera del 17 gennaio.
La Provincia invece finisce nel mirino soprattutto per la 'strada trappola', i 9 chilometri che dal bivio in località Mirri portavano fino all'hotel, in cui rimase bloccata per ore la colonna dei soccorsi: non monitorò le condizioni della strada. Poiché, se fosse stata libera dalla neve, gli ospiti dell'hotel avrebbero avuto la possibilità di lasciarlo dopo le scosse di terremoto. Inoltre, non provvide a sostituire la turbina rotta che avrebbe dovuto togliere la neve dalla sede stradale e non chiuse la strada con la conseguente dichiarazione di inagibilità dell'hotel, cosa che avrebbe imposto l'evacuazione.
Ad analizzare il comportamento della Regione Abruzzo è stato invece l'altro sostituto procuratore, Andrea Papalia. Un comportamento, in particolare, relativo alla mancata realizzazione della Carta valanghe. "Fallimento è l'omessa pianificazione territoriale di una legge del 1992 - ha detto il pubblico ministero - La Carta valanghe era un compito che spettava ai dirigenti della Regione Abruzzo ma quell'idea tempestiva e lungimirante è rimasta una buona intenzione senza risultati. Si è trattato di un ritardo inaccettabile". Ed è proprio da questo ritardo, ha concluso, "che si deve partire. Perché di questa responsabilità si deve rispondere penalmente".