I vestiti strappati zuppi di pioggia e di mare, le escoriazioni sulle braccia e sulle gambe, i lividi che non fanno ancora male perché il naufragio è appena accaduto e l'adrenalina nasconde tutto, o quasi. Ma questa mamma e questo papà non la vedono nemmeno la riva. I loro occhi sono puntati a passare in rassegna i sopravvissuti, a sollevare i teli che coprono i cavaderi e a pregare che sotto non ci siano i loro figli.
"Non sono qui, nemmeno lì", dice lui. "Forse sono sull'ambulanza", spera lei senza smettere di cercare in quell'inferno sceso in terra squarciato solo da grida di dolore. La ricerca deve fare i conti con i sensi di colpa di due genitori che hanno preso la decsione di partire dall'Afghanistan per migliorare le proprie condizioni di vita, perchè quella non era più vita. Il viaggio è stato lungo, la rotta balcanica in pieno inverno, le insidie del paesaggio, il freddo, la fame. La paura è stata tanta. Avevano valutato tutto e messo in conto anche la morte, la loro, non quella dei figli. Eppure sulla spiaggia ci sono solo loro, poco più di 40 anni entrambi, e la Croce Rossa li porta al Cara Sant'Anna.
A questa donna e a quest'uomo, che sono una mamma e un papà e nient'altro in quel momento, viene offerto di indossare panni puliti e caldi. Tremano e non è per il freddo, è per la paura di non rivedere più i loro bambini. Chiedono incessantemente agli operatori di avere notizie dei sopravvissuti, descrivono i loro figli ai mediatori culturali. Poi arriva una telefonata: "I vostri ragazzi sono ricoverati in ospedale ma non sono in gravi condizioni. Stanno bene e sono vivi". La coppia comincia a piangere in un abbraccio che è sembrato infinito, ridono, si accarezzano, si inginocchiano e pregano guardando al cielo e ringraziandolo.
"E' stata un'emozione indescrivibile - racconta Chiara Nigro, operatrice Restoring family links della Croce rossa italiana - c'era molta fisicità e felicità, un uomo e una donna davvero uniti. Hanno sentito che erano al sicuro e che potevano permettersi di esternare le loro emozioni. Adesso verrà il nostro compito, per loro e per gli altri sopravvissuti, canalizzare le loro paure in modo non distruttivo e avere un approccio col singolo e non solo con la famiglia".
Ma purtroppo le storie del naufragio non sono tutte a lieto fine. Come quella della bimba senza nome, identificata con la fredda sigla Kr14f9, "il simbolo più drammatico e commovente dell'immane tragedia di Steccato di Cutro che pesa come un macigno sulla coscienza di tutta l'Europa - ha detto il sindaco di Catanzaro Nicola Fiorita -. Mi permetterò di chiedere alle autorità competenti, al sindaco, alla Prefettura di Crotone e alla magistratura il permesso di seppellire Kr14f9 nel cimitero di Catanzaro. E tenteremo anche di darle un nome: la chiameremo Angelita, come la bambina che i soldati alleati nel 1944 trovarono sulla spiaggia di Anzio, sola e in lacrime e con quattro conchiglie in mano, come recitava una famosa canzone a lei dedicata".