Le sei persone accusate dell'omicidio dell'ambasciatore d'Italia in Congo Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l'autista Mustapha Milambo sono state condannate all'ergastolo da un tribunale congolese. La procura militare di Kinshasa aveva chiesto la pena di morte per i sei. Il tribunale ha anche riconosciuto all'Italia un risarcimento equivalente a due milioni di dollari "in via equitativa", ossia stabilito dalla corte, a carico dei condannati. Lo si è appreso da fonti al corrente della sentenza letta oggi in seduta pubblica presso il carcere militare di Gombe, un quartiere della capitale congolese Kinshasa.
Alla sbarra c'erano cinque imputati mentre un sesto, il capobanda, è latitante. La pubblica accusa aveva chiesto la pena di morte anche se da 20 anni nella Rdc vige una moratoria di fatto che vede commutare le sentenze capitali in ergastolo. La difesa aveva chiesto invece un'assoluzione per non aver commesso il fatto o almeno per dubbi sulla responsabilità degli accusati. Questi, arrestati nel gennaio dell'anno scorso, dopo iniziali ammissioni si erano poi dichiarati innocenti sostenendo di essere stati spinti a confessare con la violenza, circostanza negata dall'accusa. L'Italia, quale parte civile e Paese fortemente contrario alle esecuzioni, aveva chiesto che venisse inflitta direttamente una giusta pena detentiva.
La sentenza è appellabile. Il 43enne Attanasio, il carabiniere Iaco
vacci e l'autista Milambo erano stati feriti a morte da colpi di arma da fuoco in un'imboscata tesa da criminali a un convoglio del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) con cui viaggiava nella provincia di Kivu Nord, area ad alto rischio da tre decenni per la presenza di decine di milizie. Processati per omicidio, associazione a delinquere e detenzione illegale di armi e munizioni da guerra, i sei congolesi durante le udienze erano stati descritti dall'accusa come componenti di una "banda criminale" dedita alle rapine di strada e che voleva rapire l'ambasciatore a scopo di riscatto ma che poi l'aveva ucciso assieme ai due suoi collaboratori.
"Noi aspettiamo ancora la verità": Salvatore, padre dell'ambasciatore Luca Attanasio, commenta così all'ANSA la condanna. Salvatore Attanasio non crede all'idea di un tentativo di rapimento e spera che il processo che si aprirà in Italia il prossimo 25 maggio nei confronti di due funzionari del Pam possa far emergere la verità. "Penso che l'Italia debba pretendere la verità perché Luca era il suo ambasciatore". "Penso che l'Italia debba pretendere la verità perché Luca era il suo ambasciatore: rappresentava tutti noi. Non è solo un problema della famiglia - ha aggiunto - Questo non è un fatto di cronaca, ma un fatto politico e di Stato e lo Stato deve reagire".
Al processo italiano, Salvatore Attanasio sarà presente, con la vedova di Luca e tutta la famiglia. Di quello che si è celebrato nella capitale del Congo dice che è "positiva la
conversione dalla pena di morte all'ergastolo" per i rei confessi, che però "prima si erano autoaccusati e poi avevano ritrattato dicendo che la confessione era stata estorta con la tortura". "Noi aspettiamo ancora la verità. Di certo non crediamo al tentato rapimento. Se sono stati loro - ha aggiunto - sono stati gli esecutori di un omicidio. Il nostro obiettivo è la verità e per questo bisogna scavare più a fondo".
Zakia Seddiki, la vedova dell'ambasciatore Luca Attanasio, parlando con il sito Fanpage.it ha sottolineato:"Mi sento sollevata che la condanna per l'omicidio di mio marito non aggiunga altra violenza alla violenza. Oggi come prima cosa mi sento di ringraziare dal profondo del cuore tutte le persone che hanno firmato la petizione contro la pena di morte che ho lanciato e le istituzioni che hanno appoggiato questa richiesta". "Il fatto che la condanna non preveda la pena di morte è importante: Luca non c'è più e nessuno potrà ridarcelo indietro, ma ci sono altre vite in gioco, quelle di mogli e bambini innocenti, che non hanno alcuna colpa e che non devono soffrire. Ho sperato tanto per questo esito, non voglio che ci siano altre vedove e altri orfani, non voglio più violenza. Penso al diritto alla vita, che è più importante di qualsiasi altra cosa. Dolore su dolore non aiuta nessuno", ha proseguito.