L'incarico di Christian Rosiello, ultrà 41enne dalla "indole violenta", come "guardia del corpo" di Fedez fu "deciso da Luca Lucci", il capo degli ultras rossoneri, e "in virtù del rapporto di amicizia" tra quest'ultimo e "il cantante".
E la "violenta aggressione" dello scorso aprile ai danni del personal trainer Cristiano Iovino, in lite col rapper, a cui prese parte lo stesso Rosiello, "fa emergere come il 'capitale' di violenza del sodalizio" della curva Sud milanista "venisse utilizzato, di volta in volta, a seconda di richieste anche non direttamente collegate con le vicende dello stadio".
Lo scrive il Tribunale del Riesame di Milano nelle motivazioni, da poco depositate, dell'ordinanza con cui a fine ottobre scorso ha confermato la custodia cautelare in carcere per Rosiello, accusato di associazione per delinquere e uno degli arrestati, assieme a Lucci, nel maxi blitz di fine settembre scorso nell'inchiesta di Polizia e Gdf, coordinata dai pm Paolo Storari e Sara Ombra, sulle curve di San Siro.
Inchiesta in cui non è indagato Fedez, iscritto, invece, nel fascicolo sul presunto pestaggio ai danni di Iovino.
Gli stessi pm, nell'udienza davanti al Riesame, come si legge nel provvedimento, avevano evidenziato il fatto che Rosiello fosse stato assunto come bodyguard di Fedez su "indicazione" di Luca Lucci, a cui negli ultimi mesi sono state notificate anche ordinanze per spaccio di droga e per un tentato omicidio del 2019.
I giudici ricordano che Iovino, picchiato il 22 aprile dopo una rissa in una discoteca milanese con Fedez e altri, subì anche "gravi minacce" dal gruppo che lo aggredì, tra cui Rosiello, "attivo protagonista del pestaggio", e pure, stando alle indagini, lo stesso rapper.
"Devi chiedere scusa - gli dissero - noi torniamo e ti ficchiamo una pallottola in testa". Sempre nel provvedimento si legge che Lucci dopo quell'episodio avrebbe "censurato", scrive il collegio Savoia-Ambrosino-Nosenzo, "a posteriori, la relativa affidabilità di Rosiello, che nell'occasione non si era comportato in modo 'freddo'".
I giudici mettono l'episodio ai danni di Iovino tra la serie di "condotte illecite di natura violenta" del gruppo della Sud rossonera, capeggiato da Lucci, con una "escalation criminosa davvero allarmante". Il tutto in un "clima generalizzato di omertà, quale dato costante dell'indagine - si legge ancora - in quanto coloro i quali avevano subito atti violenti o intimidazioni, spesso non hanno denunciato o, comunque, hanno reso dichiarazioni ampiamente reticenti per timore di ritorsioni".
Lo stesso Iovino non ha mai denunciato. Sempre nell'ordinanza di oltre 50 pagine i giudici mettono nero su bianco che dall'inchiesta sono "emersi elementi indicativi del clima di intimidazione e delle pressioni esercitate" dagli ultras della Sud "nei confronti della società A.C. Milan", a "conferma di una situazione di predominio del 'territorio stadio' da parte del sodalizio", che vanta un "numero significativo di adepti".
E si fa riferimento pure alle "gravi condotte di detenzione di armi da parte della tifoseria organizzata milanista in occasione di una trasferta in Toscana", dopo gli arresti del 30 settembre, "a conferma del contesto di particolare allarme sociale".
Le indagini, dunque, su altri componenti della presunta associazione per delinquere vanno avanti. I giudici hanno depositato anche le motivazioni delle conferme delle misure cautelari per Mauro Nepi, ultrà interista pure lui finito in carcere, per Riccardo Bonissi, altro ultrà milanista, e per l'imprenditore Gherardo Zaccagni, gestore di alcuni parcheggi fuori dallo stadio Meazza.
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