Lauren Bacall ,carriera da diva da Bogart a von Trier ROMA (di Giorgio Gosetti) Nel pantheon delle dive di Hollywood Lauren Bacall avrà sempre un posto a parte, destinato all'eterna modernità. Se Garbo è stata l'intangibilità, Dietrich la sensualità, Marilyn la fisicità, Hepburn (Katharine) la verve e Hepburn (Audrey) la classe, Bacall rivendica per sé un incrocio di elementi che la rendono seduttrice e maschiaccio, vera signora e pozzo dei desideri. La cascata di capelli color miele, le gambe perfette, l'espressione torbida o brillante, la bocca sensuale, le mani forti e affusolate facevano di Betty Jane Perske (nata Weinstein Bacal per parte di madre) uno splendido concentrato di opposti. Padre polacco e madre romena, entrambi immigrati a Ellis Island (New York) dopo i pogrom contro gli ebrei, Betty Jane nasce a New York il 16 settembre del 1924 e cresce, figlia unica, con la madre e gli zii materni visto che il signor Perske scompare rapidamente dalla sua vita. La ragazza si sceglie così un nome d'arte, adotta il cognome della madre, ma vi aggiunge una "l" per evitare errori ortografici sui documenti ed è pronta per conquistare il mondo. Aveva l'arte nel sangue, sognava di fare la ballerina, a 16 anni si innamorò perdutamente di Leslie Howard (era il tempo di "Via col vento") e, non potendolo amare di persona, decise di fare l'attrice per trovarlo sul set. Frequentò così l'Accademia americana d'arte drammatica e strappò qualche particina a Broadway ma fu la sua scelta - alimentare - di posare come modella a cambiarle la vita: un fantastico primo piano in copertina su "Harper's Bazar" le valse l'attenzione di Howard Hawks e un contratto a Hollywood. La aspettava un ruolo da protagonista in "Acque del sud" (1944) a fianco del divo del momento, Humphrey Bogart. Il copione era quello del racconto di Ernest Hemingway "Avere e non avere", l'ambientazione romantica ed esotica, il partner paterno (25 anni più vecchio) e premuroso. Non solo la condusse per mano a un'interpretazione memorabile, ma si innamorò di lei. Se mai amore a Hollywood fu leggendario è quello tra Bogart e Bacall, scandito da un rapido matrimonio (1945), tre strepitosi successi in rapida sequenza ("Il grande sonno" del 1946, "La fuga" del '47 e "L'isola di corallo" del '49), due figli amatissimi e una fedeltà assoluta fino alla morte di Bogey, il 14 gennaio 1957. Chi ha scritto che Katharine Hepburn e Lauren Bacall si "spartirono lo scettro delle amazzoni nella Hollywood degli anni '50" teneva in conto anche il sentimento: entrambe legate per la vita a un solo uomo, partner anche sul set. Spencer Tracy per l'una, Bogart per l'altra. Tanto è vero che dopo la morte del marito, al di là di un affrettato flirt con Frank Sinatra forse costruito dai press agent della Warner più che da reale trasporto, nessuno scandalo l'ha mai sfiorata e il secondo matrimonio con Jason Robards (nel '61) fu più un sodalizio che una passione. Sbaglia però chi associa il successo della Bacall alla perfetta macchina di coppia con Bogey: nel '53 ebbe un clamoroso successo personale in "Come sposare un milionario" al fianco di Marilyn Monroe e Betty Grable. I suoi pigmalioni dopo Hawks avevano nomi altisonanti come Jean Negulesco, Vincente Minnelli, Michael Curtiz. E fu Douglas Sirk a darle la migliore parte da eroina romantica della sua seconda carriera: "Come le foglie al vento" del 1956. In verità, dopo la morte di Bogart Lauren Bacall perse il gusto di essere protagonista e diradò le sue apparizioni, optando spesso per il teatro, scoperto agli inizi degli anni '60 e che le varrà nel 1970 un Tony Award come protagonista del musical "Applause!". Al cinema ebbe vere soddisfazioni da "Detectives's Story" di Jack Smight (1966) in cui ritrovava le atmosfere del noir alla Chandler come nell'immortale "Il grande sonno"; da "Assassinio sull'Orient Express" di Sidney Lumet (1974), "Pret-à-porter" di Bob Altman (1994) e soprattutto "L'amore ha due facce" di Barbra Streisand (1996) che le valse l'unica candidatura all'Oscar in ben 73 film. Uno scandalo a cui l'Academy riparò solo nel 2009 offrendole un Oscar alla carriera (il primo dopo Deborah Kerr) che la diva pretese le fosse consegnato a casa, mesi più tardi. Non sfruttò invece mai le amicizie famose, dal cugino Shimon Peres allo scrittore Ernest Hemingway, al complice prediletto, Dirk Bogarde. Preferì isolarsi vivendo spesso in Europa dov'era ormai un mito. Così il filosofo Bernard Henri-Levy la volle al fianco di Alain Delon nel 1997 per il suo debutto da regista ("Le jour et la nuit"), Robert Dornhelm le offrì un ambiguo ruolo in "The Venice project" del '99 e Lars von Trier la corteggiò con successo per "Dogville" (2003) e "Manderlay" (2005). La sua ultima apparizione è però ancora americana con "The forger" di Lawrence Roeck, appena due anni fa.
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