Il rito, abbreviato, della cerimonia di presentazione delle nomination agli Oscar si è consumato e come sempre accade ha lasciato e lanciato una serie di messaggi. Il primo è che Hollywood è cambiata e che è arrivato il momento d'oro per la nuova generazione d'attori e registi, tra i nominati i famosissimi sono infatti davvero pochi. Quasi nessuna grande star. Se si escludono Christian Bale, Bradley Cooper, Lady Gaga, Amy Adams, Glen Close ed Emma Stone gli altri sono quasi sconosciuti o relativamente famosi. Questo potrebbe volere dire due cose, o anche tre. Potrebbe indicare un cambio generazionale in atto da tempo e ormai consumato pienamente grazie anche al fiorire di nuovi canali, piattaforme e quindi opportunità di lavoro per i professionisti del cinema: oggi dunque basta con la Winslet e la Streep, a favore della Aparicio o della Colman, basta con gli Scorsese e gli Spielberg, ma spazio ai Cuaron e ai Lanthimos e così via, in una sorta di gioco delle sedie dove i grandi nomi, i grandi del cinema che fu, lasciano spazio a quelli del cinema che sarà; Potrebbe volere dire anche che ha vinto il cinema sull'aspetto glamour. L'arte rispetto al business.
La qualità rispetto al botteghino, anche se molti film, seppur vettori di messaggi importanti, sia nella trama sia per chi li ha realizzati, hanno un'esclusiva natura commerciale. Otto nominations a Black Panther ne sono una dimostrazione. Il messaggio, la sostanza, più importante del messaggero o del contenitore. Più attenzione ai film e meno al tappeto rosso. Oppure come spesso accade, tutto questo potrebbe non volere dire nulla con l'anno prossimo a smentire ogni tipo di riflessione sui cambiamenti dell'anno passato, come spesso è accaduto. Già, non sarebbe la prima volta, era il 2002 quando Denzel Washington e Halle Berry vinsero i premi come migliore attore e attrice protagonista. Un messaggio si disse. Già allora si parlò infatti di Oscar neri, della fine del razzismo a Hollywood, delle opportunità che finalmente diventavamo uguali a prescindere dal colore della pelle. Ma non fu così. Solo due anni fa esplose una grande protesta delle minoranze, contro gli "Oscar troppo bianchi'', come recitato dal popolare hashtag. Un movimento che oggi potrà dirsi soddisfatto, almeno temporaneamente perché la grande verità à che per quanta attenzione e cura si possa mettere, non si riuscirà mai ad accontentare tutti e tutti insieme. Il messaggio di oggi, per quanto etereo, è certamente positivo. Registi e attori di ogni etnia, spesso con cognomi impronunciabili.
Tra loro solo due sono americani e solo uno è bianco. La diversità è stata sicuramente rappresentata, basti pensare che il maggior numero di candidature sono state raggiunte da un film in bianco e nero, girato in spagnolo, con un titolo italiano, Roma del messicano Alfonso Cuaron e dal film del greco Yorgos Lanthimos La Favorita. Entrambi ne hanno ottenuto dieci a testa, più di tutti gli altri, o le otto di Black Panther, manifesto nero per eccellenza, che ha già fatto la storia non solo all'incasso, ma anche per essere il primo film tratto da un fumetto candidato all'Oscar, a dimostrazione che non importa come arriva il messaggio, ma la sostanza del messaggio e poi le cinque nomination a BlackkKlansman che non sono decisamente noccioline, o pop corn. Nelle varie categorie si vedono nomi come come Malek. Mortensen, Aparicido, Alì, De Tavira, King, Lee, come Spike proprio lui, Pawlikowski, Lanthimos, Cuaron. E la diversità è servita. O forse no.
Dopo lo scandalo Weinstein a Hollywood inoltre l'aria è cambiata e certe cose grazie a una novella ondata femminista non si possono finalmente più fare, o almeno sembra, lo scorso anno il messaggio che era stato percepito, lanciato, sempre etereo, era quello che le donne avevano conquistato il loro posto in un mondo prevalentemente maschile, soprattutto quello della regia, con la nomination della Gerwig per Lady Bird, ma ecco che oggi è arrivato un messaggio contrastante. Nemmeno una donna nominata in quella categoria.
E anche in questo caso è una storia di corsi e ricorsi, in pochi ricordano la vittoria della Bigelow nel 2011 contro l'ex marito James Cameron e un film come Avatar, contro un film come The Hurt Locker, anche in quel caso di parlò di vittoria, di messaggio. Insomma i messaggi passano, cambiano e ritornano e gli Oscar anche, ma forse forse a vincere in questa edizione è stata la qualità, del messaggio, quello dentro ai film, quello sì tutto tranne che effimero, a prescindere dal genere, dall'etnia, dal colore della pelle dalle tendenze sessuali o le credenze religiose. Tutto fumo negli occhi per Donald Trump, che siamo certi sarà un altro dei protagonisti, almeno nelle parole, della cerimonia di premiazione che si svolgerà il prossimo 24 Febbraio. In attesa dei prossimi premi e dei prossimi "messaggi" e delle proteste, quelle tra qualche ora, dei movimenti femministi.