Quanto pesa la bravura di un attore sulla qualità di un film? Una domanda che vale ancora di più per La Petite - in sala dal 18 gennaio distribuito da Movies Inspired e Circuito Cinema - dove la recitazione sobria e ricca di Fabrice Luchini è l'anima di questo dramedy in cui convivono dolcezza, grazia e malinconia. Diretto e sceneggiato da Guillaume Nicloux - regista e attore francese, conosciuto per aver diretto l'horror L'eletto (2006), La religiosa (2013) e L'enlèvement de Michel Houellebecq (2014) - La petite mette in campo una storia semplice che racconta l'ostinazione di un uomo non più giovane alle prese con la voglia di continuare ad amare e soprattutto non dimenticare un figlio che non c'è più.
Protagonista Joseph Siprein (Luchini), un raffinato ebanista esperto in mobili antichi alle prese appunto con la morte di suo figlio Emmanuel e del suo compagno in un incidente aereo.
La coppia, scoprirà Joseph, aspettava però un bambino tramite una madre surrogata, Rita Vandewaele (Mara Taquin) che vive in Belgio. Joseph ha tanta voglia di questo bambino, sarà in realtà una nipotina, un modo questo anche per prolungare l'esistenza di suo figlio Emmanuel. Il sessantenne partirà così alla volta del Belgio per incontrare la giovane ragazza fiamminga che si rivelerà forte, folle e indomabile, ma anche piena di cuore. Tra Joseph e Rita inizierà infatti un tenera battaglia per quello che sarà il futuro di questa bambina dove l'uno e l'altra scopriranno una reciproca straordinaria umanità.
Il film, che ha nel cast anche Maud Wyler che presta il volto ad Aude Siprien, figlia di Joseph, e Juliette Metten (Ava Vandewaele) madre di Rita, ha le musiche originali di Ludovico Einaudi.
"L'idea mi è venuta due o tre anni dopo la morte di mio padre - dice il regista - . Facendo un viaggio negli Stati Uniti, in Nevada, ho soggiornato due o tre giorni nella Valle della Morte e, visitando un canyon, mi è sembrato di vedere davvero mio padre. Questa immagine è stata il motore di questo film". E ancora Nicloux: "Quando dirigo i miei attori, cerco di non razionalizzare troppo i risvolti psicologici del personaggio, di girare il più possibile preservando silenzi e zone d'ombra. Mi aspettavo molto da Fabrice Luchini in quanto sono il suo primo fan e amo il modo in cui si impadronisce degli eventi. C'è in lui una sorta di fragilità, di febbre. Il cinema per me - continua-, non ha l'obbligo di fare analisi psicologiche, ogni attore può lavorare secondo i suoi criteri per mantenere la freschezza e sorprendermi per il modo in cui incarna i ruoli.
Questa tonalità che cerchiamo di creare non passa solo attraverso le parole, ma anche con le intonazioni, gli sguardi, il clima in cui ci troviamo. Ci sono così - conclude - climi tranquilli e altri più torbidi a seconda della storia che raccontiamo".
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