(di Massimo Lomonaco)
HERBERT AVRAHAM ARBIB. 'CIELO
NERO' (Salomone Belforte & Co; pp.341; 25 euro).Raramente un
romanzo biografico - come l'autore definisce il suo libro -
contiene tanta storia. Anzi il più delle volte in quei romanzi è
proprio il privato a prendere il sopravvento a scapito della
storia. Arbib ha invece documentato benissimo un passaggio
decisivo della storia contemporanea: la cacciata degli ebrei dai
paesi arabi alla fine degli anni '60. Un fenomeno - e l'autore
con la sua vita si riferisce a quello della Libia - che ha
coinvolto, secondo stime recenti, circa 700mila persone
diventate profughe per il solo fatto di essere ebree in Paesi
dove Israele e la sua nascita sono state considerati l'occasione
per la loro espulsione, nonostante secoli e secoli di
permanenza. Va ricordato infatti che, se nel conflitto
mediorientale ha un suo peso il problema del ritorno dei
profughi palestinesi, altrettanto lo ha - quello parallelo -
cittadini ebrei cacciati da Libia, Siria, Libano, Iran, Algeria,
Tunisia e via dicendo. Arbib ha raccontato con grande proprietà
di linguaggio l'irruzione della Storia in una piccola Comunità
attaccata alle sue tradizioni e quasi interamente di formazione
italiana. "Avevo l'impressione che anche noi - ha detto Arbib
all'ANSA - avevamo una storia, e che era giusto raccontarla".
Ispirazione letteraria - ha spiegato l'autore - è stata la
lettura all'epoca del romanzo di Amos Oz 'Una storia di amore e
di tenebra'. Ma soprattutto da un viaggio a Roma con la nipote e
dall'ammissione di un suo vecchio amico andato in Italia dopo
l'espulsione: "quelli fra noi che sono immigrati in Israele
hanno preso la decisione giusta". "Così - ha aggiunto - ho
deciso di scrivere un romanzo sulla nostra storia. Avevo solo
un'idea vaga di quello che avrei scritto, ma poi come spesso
accade la scrittura ci porta dove vuole. Ricercando gli
avvenimenti, intervistando persone e leggendo per cercare di
riempire 'buchi', ho capito che per comprendere occorre anche
tornare indietro nel passato, a volte molto indietro". Da questo
'tornare indietro' emana così un affresco estremamente nitido e
dettagliato di una società, di una cultura, di una civiltà
scomparse. Simili, ma non eguali, a quelle cancellate dalla
pratica omicida nazista nell'est Europa durante la Shoah. Il
libro di Arbib riesce a fare della memorialistica un ritratto
potente della caduta di un mondo finora poco conosciuto oltre
gli addetti ai lavori. Ma soprattutto della capacità pratica e
ideale di saper uscire da una crisi epocale dandole uno sbocco.
E questo non poteva che essere Israele e la sua costruzione. A
sottolinearlo è lo stesso autore: "dopo aver scritto tutto e
riletto, ho capito che il libro ha una tesi: 'Israele sarà
capace di realizzare il sogno del sionismo?". La risposta
dell'autore è affermativa, ma non senza dubbi, come è giusto che
sia. "Avremmo potuto fare - ha detto - un lavoro molto migliore.
E tuttavia avevamo la consapevolezza del fatto che questo era
l'unico Paese che ci voleva, e che potevamo considerare nostro".
Non tutti gli ebrei cacciati dalla Libia hanno fatto la scelta
di Arbib, ma la strada da Tripoli a Gerusalemme per l'autore e
la sua famiglia è stata l'unica scelta possibile. Il libro sarà
presentato il 1 settembre all'Istituto italiano di cultura di
Tel Aviv.
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