C'è un elemento fondamentale per capire la piccola 'svolta' (solo verbale) annunciata oggi da Mario Draghi, che ha presieduto un consiglio Bce "unanime nella determinazione" a dispiegare un nuovo arsenale di misure, aprendo al 'quantitative easing' (QE). Quell'elemento è l'apertura della Bundesbank, il cui presidente Jens Weidmann, tradizionalmente un 'falco' nel consiglio Bce opposto agli acquisti diretti di titoli, la scorsa settimana ha cambiato completamente rotta, aprendo al 'QE' pur con alcuni caveat.
  Un'inversione ad 'U' che rivela alcuni dettagli sulle ragioni che stanno spingendo la Bce a cambiare idea e su ciò che potrebbe succedere di qui a poche settimane. Non è un mistero che anche la Germania comincia a fare i conti con l'euro forte (e i danni che questo crea per l'export) causato essenzialmente proprio dal quantitative easing della Fed e della Banca del Giappone che hanno lasciato la divisa unica da sola ad apprezzarsi fino a sfiorare 1,40 dollari. Proprio raffreddare l'euro, del resto, era uno degli obiettivi di Draghi.
  Il 'supereuro' non fa che peggiorare il rischio-deflazione, rendendo l'import meno caro. Lo 0,5% d'inflazione registrato a marzo è stato una brutta sorpresa: lo ha ammesso lo stesso Draghi. La spirale che potrebbe innescarsi in Paesi come la Spagna (la Grecia è di fatto in deflazione da mesi) avrebbe effetti nefasti anche in Germania. Draghi ha spiegato che la deflazione non c'è, che il 70% della bassa inflazione si deve a fattori esterni (prezzi di energia e materie prime alimentari) e che marzo ha risentito dell'effetto statistico della Pasqua, caduta a marzo lo scorso anno. Ma anche che la Bce è in allerta, anche se "abbiamo bisogno di più dati", ha detto lo stesso Draghi.
  Marco Valli, capo economista per l'Eurozona di Unicredit, dice che "il dato chiave sarà quello di aprile". Un'inflazione a 0,9% potrebbe fermare tutto, un'accelerazione ben inferiore convincere la Bce ad agire. Molti osservatori non sono affatto d'accordo con la prudenza di Draghi. Speriamo che la Bce "si muova bene il mese prossimo", dice sarcastico Adam Posen, accademico, economista americano ed ex banchiere centrale della Bank of England. Secondo Posen, l'imputare a fattori 'esogeni' (cibo ed energia) l'inflazione esangue dell'Eurozona fa assomigliare Draghi ad Hayami e Shirakawa, i banchieri centrali del Giappone che accusavano la Cina per la deflazione in casa propria.
   Sta di fatto che la bassa inflazione mette un'ipoteca sui piani di rientro del debito, facendo salire i tassi reali (quelli al netto dell'inflazione) e quindi gli oneri per gli Stati indebitati. E impatta sulla crescita: non a caso Draghi ha detto che la sua maggiore paura è una lunga stagnazione nell'Eurozona. Gli indici Pmi che anticipano la congiuntura hanno indicato d'altra parte un rallentamento dell'attività economica a marzo, in particolare in Germania. La possibile risposta della Bce non è affatto chiara. Un nuovo taglio dei tassi è allo studio, anche se dallo 0,25% attuale potrà far poco.
  Ecco dunque le misure non convenzionali su cui il consiglio Bce si è accordato. Possibile, ma non scontato, il 'quantitative easing' in stile Fed. Ma in un'economia 'bancocentrica' come quella dell'Euro (a differenza degli Usa) la Bce potrebbe preferire alternative agli acquisti di titoli di Stato. Come rilevare titoli garantiti da prestiti (Abs), magari dopo gli stress test sulle banche. O lanciare uno schema 'funding for lending', sulla falsariga della Bank of England (i cui successi sono discutibili): un'ondata di liquidità sulle banche, ma vincolata all'erogazione di prestiti a famiglie e imprese.
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