E' lo strumento primario dei salvataggi europei, erede del vecchio fondo Efsf usato per Grecia, Spagna, il Portogallo, Irlanda Cipro. Ma il Mes, l'agenzia lussemburghese creata nel 2012 per frenare la grande crisi finanziaria, è anche al centro di innumerevoli divisioni e polemiche interne ai Paesi - come l'Italia dove l'opposizione ci vede la 'camicia di forza' della troika - e fra i Paesi, con l'Italia oggi capofila di un'applicazione meno legata a condizioni penalizzanti.
Ad oggi, il Meccanismo europeo di stabilità - che si finanzia emettendo bond e ha un capitale garantito dagli Stati - ha a disposizione una potenza di fuoco di circa 500 miliardi di euro e una serie di strumenti: prestiti, a fronte di un programma di riforme concordato; acquisti di titoli di Stato sul mercato primario e secondario; linee di credito precauzionali; prestiti per la ricapitalizzazione indiretta delle banche; ricapitalizzazioni dirette. Non solo: per accedere al 'bazooka' anti-spread voluto da Draghi, il programma 'Omt' della Bce, è necessario prima sottoscrivere un memorandum col Mes. Aiuti, quelli previsti finora, rivolti a un singolo Paese, con la sottoscrizione di un accordo - su riforme da compiere e politiche di bilancio da seguire - in cui Paesi come l'Italia vedono il rischio di finire stigmatizzati.
Ecco l'idea, di cui il governo italiano si è fatto portabandiera, di un'applicazione diversa di fronte al coronavirus: consentire al Mes di fornire linee di credito a tutti i Paesi di fronte all'impatto economico della pandemia. Lasciando a ciascuno la scelta di come spendere quei soldi. Una proposta - come quella dei 'coronabond' - che trova giustificazione nella natura 'simmetrica' della crisi attuale, che sta colpendo tutti. Insomma più solidarietà , rompendo il tabù degli Stati nordici: la mutualizzazione dei debiti nazionali, che farebbe da apripista agli eurobond. Al fondo il braccio di ferro è sul futuro dei debiti: che gli aiuti vengano dalla Bce (comprando debito) o dal Mes, alla fine Paesi come l'Italia si ritroveranno con un rapporto debito/Pil che qualcuno teme diventi insostenibile, sopra il 150% del Pil. Una camicia di forza nei fatti, di fronte agli investitori. L'unica via d'uscita è la mutualizzazione, che per Berlino rappresenterebbe un'occasione di leadership europea. Ma anche un enorme costo politico.