Nel salone d’onore dell’ambasciata svizzera, il 12 giugno a Roma, un pubblico di politici e rappresentanti di organizzazioni internazionali ascolta da oltre due ore un gruppo di migranti africani e del Medio Oriente. Ad accomunare i loro racconti, oltre alla sofferenza e ai traumi della guerra, c’è anche l’angoscia di aver perso amici e parenti. E’ il ‘Profile of the missing event’, il forum a cui intervengono le famiglie dei dispersi per condividere le loro esperienze. E’ un’occasione anche per aumentare la consapevolezza dei decisori politici sulla centralità della questione per pacificare le regioni colpite dalla guerra, prevenire i conflitti, garantire la giustizia internazionale e il rispetto dei diritti umani.
Kazem Othman, un elettricista siriano di quarantacinque anni, agita una fotografia trovata su internet. Lo scatto mostra un gruppo di bambini a scuola, che ascoltano l’insegnante disposti a semicerchio. “Sono sicuro al 99%, questo è mio figlio”, dice indicando un bambino in primo piano, di spalle. Di lui, e del cuginetto che ha la stessa età, si sono perse le tracce nel 2015: cercava di raggiungere la Grecia insieme alla sua famiglia, quando la barca è affondata. La disperazione dei superstiti può condurre nelle mani di persone senza scrupoli. Kazem si è fidato di un avvocato conosciuto in Grecia, che dopo alcune ricerche ha raccontato di aver individuato il figlio dell’uomo sull’isola di Lesbo. Salvo poi dileguarsi con il denaro ricevuto per rimettersi in contatto con il piccolo. 17 mila i minori non accompagnati raggiungono ogni anno il territorio europeo. Il 13% degli arrivi via mare in Italia è costituito da bambini che viaggiano da soli. Sono loro le prime potenziali vittime del racket di esseri umani.
“Finché vivrò, continuerò a cercare mio figlio. Voglio essere sicuro di aver fatto tutto il possibile”, dice Kazem asciugandosi gli occhi. “In Turchia c’è un cimitero che chiamano ‘la tomba dei numeri’, dove sono seppellite 140 persone. La polizia ha raccolto campioni di DNA. Ho provato a raggiungerlo per cercare anche lì, ma mi è stato negato il visto”. La prima sfida per il Programma Migranti dell’ICMP sarà proprio di facilitare lo scambio di dati raccolti nei vari Stati e mettere a punto un sistema unitario per l’analisi e il trattamento di queste informazioni. Dove non ci sono tecnologie sufficienti per l’analisi del DNA, in una seconda fase del programma potrà intervenire il laboratorio della Commissione all’Aia. Nel frattempo si incroceranno i profili delle vittime con quelli dei parenti, nei Paesi europei di destinazione come nei vasti campi profughi del Libano, Giordania, Turchia e Iraq. Qui l’ICMP sta implementando un programma per la raccolta dati sostenuto dall’Unione europea.
“Fornire un’identificazione può alleviare il fardello di una famiglia - dice Kathryne Bomberger - ma alle persone serve di più di questo: serve giustizia, servono risarcimenti. Serve per aiutare le agenzie internazionali come l’Europol o l’Interpol ad assicurare alla legge coloro che si sono resi responsabili di queste sparizioni, fornendo i barconi o trafficando in minori”. Può darsi che il numero delle vittime del Mediterraneo continui a crescere, ma almeno su quei ‘cimiteri dei numeri’ inizierà a comparire qualche nome.